ARTE

Scritti e video di Luca Traini

Indice

56 PINA TRAINI 70 anni pittura: protagoniste le donne (2024)
55 IL VOLTO DELLE PAROLE Foto di scrittori di Paolo Della Corte e Raffaella Grandi (2023)
54 NUOVO MUSEO, NUOVA MOSTRA AL MAP (Museo Arti e Paesaggi) DI ARCOLA
Walter Tacchini e le maschere africane del Museo Castiglioni di Varese (2023)
53 FABIO CHIESA Mostra all'Hotel Byron e diario poetico "Dell'imperfetto amore" (2023)
52 NICOLA PERUCCA "Mare in cammino" e "In viaggio con Cesare Cosmico" (2023)
51 50 ANNI CON PICASSO Dialoghi ritrovati (2022)
50 ARCHETIPI DANZANTI Opere di Walter Tacchini (2022)
49 UNA NUOVA VISIONE VIRTUALE  DEL MUSEO DELLA CERAMICA DI LAVENO (2022)
48 STILL LIFE RELOADED (2020-21) Fabrizio Jelmini photographer (2022)
47 LA MADDALENA DI CARLO CRIVELLI Il primo amore (2022)
46 BRAMANTINO E BRUEGEL Sentire l'arte sulla propria pelle (2021)
45 LEONI E ALTRI UMANI Opere di Samuele Arcangioli (2021-22)
44 WATERFALL OF TIME. YOSHIN OGATA SCULPTURES (2021)
43 NICOLA PERUCCA, Città librerie e altre storie (2021)
42 IL DIRITTO E IL ROVESCIO DELL'ARTE Come una premessa (2020-21) 
41 GUTTUSO RITROVATO (2019)
40 COME LA LUCE _ DAI MACCHIAIOLI ALLO SPAZIALISMO (2019)
39 NEL SEGNO DI LUCIO FONTANA (2016)
38 FONTANA, MELOTTI, LEONCILLO (1995)
37 REFLEXions - ANDRÉ VILLERS, FOTOGRAFO PERSONALE DI PICASSO
(Versione italiana e francese, Antibes-Aosta 2008)
36 LA GRANDE FOTOGRAFIA DI ROBERTO MOLINARI IN MOSTRA A VARESE (2018)
35 LA PHOTOSOPHIA DI ROBERTO MOLINARI (2017)
34 ARTE E TECNOLOGIA (2019)
33 ATELIER PELLINI: DA PIÚ DI UN SECOLO NEL CUORE DI MILANO (2019)
32 LA REALTA' VIRTUALE DI PIERO DI COSIMO (2019)
31 TOMMASO DA MODENA: MEDIOEVO IN REALTÀ AUMENTATA (2020)
30 ARCHITETTURA E LETTERATURA Palladio e Trissino (2019)
29 CASTELSEPRIO-SIRIA: SANTA MARIA FORIS PORTAS (2019)
28 CHIESA DI SANT'ANTONIO DI VARESE Falò e luce interiore (2019)
27 MUSEO BAROFFIO, SACRO MONTE, VARESE: ASCESI ESTETICA (2019)
26 VARESE, SALA VERATTI: UN'ARTE PIENA DI GRAZIA (2018)
25 EUGENIO PELLINI, "DUE TELAMONI" (Varese, 1905) (2017)
24 DE CHIRICO, "I BAGNI MISTERIOSI" (Triennale di Milano, 1973) (2017)
23 BERGAMO: LA MUSA INNAMORATA DI PALAZZO RONCALLI (2017)
22 ALI E RADICI NELL'ARTE La Chiesa di Pecetto e i bronzi di Tavernari a Macugnaga (2017)
21 IL PAESE DELLE PIETRE SOGNANTI - IVO SOLDINI A VIRA GAMBAROGNO (2015)
20 ROBERT RAUSCHENBERG Bed _ Letto, 1955 (2014)
19 I RAGGI X FRA ARTE E POESIA: PRIME LASTRE Gozzano e i Futuristi (2019)
18 LORENZO LOTTO E GIACOMO LEOPARDI Lontananza di due solitudini (2008)
17 CURA E MALATTIA DEL GENIO Musica per Hugo van der Goes (2014)
16 HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI Combattimento d'amore in sogno fra Mantegna e Giorgione (2014)
15 LA NOSTRA CIVILTA' E' UN SOGNO AD ANGOLO RETTO (Biennale di Venezia 2011)
14 CROSSMEDIALITA' ANTICA: LISIPPO (Biennale di Venezia, 2011)
13 ALESSANDRO MAGNO IN VALLE D’AOSTA: IL CASTELLO DI QUART (2008)
12 IL VIDEOGAME COME ALTERNATIVA ALL'EFFIMERO (2012)
11 ZURBARAN A FERRARA, QUEVEDO IN SOGNO (2014)
10 IL BISTURI E L'ARCHITETTO (Triennale di Milano, 1995)
Una casa, due donne per Frank Lloyd Wright _ Frank Lloyd Wright between Petrarch and Anne Bradstreet
Le Corbusier, Cappella di Notre-Dame-Du-Haut, Ronchamp: resurrezione e ferite
9 I TRONI DI LILLIPUT (1996)
In occasione di una mostra di modellini di “Sedie d’autore” alla Triennale di Milano
Sedia di Mackintosh e Scala di Giacobbe: un relax biblico
Mies van der Rohe, Le Corbusier: sedie per guardare in alto
Prova a sederti nell'Autunno Caldo _ Cul de Sac
8 ARCHITETTURA E POESIA NELLA SVIZZERA ITALIANA
Mario Botta/Giorgio Orelli Video
Luigi Snozzi, Livio Vacchini/Antonio Rossi Video
Aurelio Galfetti/Fabio Muggiasca Video
7 IL CASTELLO DI GRESSAN (2012)
6 TRANSUMANZE ARCANGIOLESCHE (2004)
5 ARTE E LAVORI DOMESTICI_MACCHINE DA CUCIRE due punti SCRIVERE (2007)
4 IO E LUCIO FONTANA (2011) Video
3 ALMANACCO PANNINI (Pannini Mitelli Vivaldi) (2011) Video
2 PENNA A SFERA_BALLPOINT _ A Mario Botta Nomadic architecture of my life (2010)
1 PINA TRAINI, "Solo donne" _ "Women only: Dreams Sleep Awakenings" Video di Luca Traini con estratti dal testo "Pina Traini - Tele scultoree"  di Debora Ferrari

PINA TRAINI 70 anni di pittura: protagoniste le donne

Commento musicale Francesca Caccini, Danza

Nell’imminenza dei suoi 89 anni Pina Traini porta a compimento il ritratto di Malala Yousafzai festeggiando il 70° della sua attività di pittrice e una nuova giovinezza artistica iniziata 9 anni fa: più di 60 quadri dedicati alle Donne che hanno fatto la Storia. Un grande lavoro sempre condotto in profondo e senza misure, riconosciuto per la sua originalità da un articolo a tutta pagina su “La Prealpina”, il quotidiano della città in cui vive dal 1978, Varese.

Pina Traini, Malala Yousafzai (2024)

Ma la sua storia ha inizio altrove il 19 marzo 1935, in un piccolo paese dell’allora provincia di Ascoli Piceno, Ponzano di Fermo, in una casetta di mezzadri costretti fin da bambini a una dura fatica sui campi che,  trasferitisi poi a Monte Giberto, cercano una vita migliore per la figlia sostenendola fino alla maturità magistrale, costringendola tuttavia, secondo le tristi abitudini del tempo, a non poter sviluppare il suo talento artistico in un liceo o in un’accademia al di fuori dall’entroterra marchigiano. La ragazza porta a compimento i suoi studi ma non dimentica la lezione fondamentale appresa dalla giovane zia materna Linetta, che le aveva insegnato a disegnare a carboncino nascondendosi con lei per evitare l’eredità della vanga e della zappa (ci riuscirà).

Pina Traini nel 1964 e nel 2016 (foto quest'ultima di Roberto Molinari)

La pittrice diventa maestra elementare e per quarant’anni educa alla creatività e all’amore per la cultura centinaia di alunni fra Marche e Lombardia (fra questi anche il giovanissimo Neri Marcoré). Senza mai tralasciare la pittura, sempre vissuta quale espressione di riscatto, decisamente figurativa e con protagonista assoluta la donna.

Ha scritto la critica d’arte Debora Ferrari: “Dagli anni Cinquanta a oggi si può dire che Pina Traini abbia coerentemente continuato a scolpire su tele e tavole un unico grande monumento alla donna.” (dal catalogo edito da TraRari TIPI). Uniche eccezioni: io e mio fratello Luissandro (suoi figli, cresciuti con lei e i nonni materni) e il nipote Giacomo.

Pina Traini, Donne (1973) e Ha la mia tela (1985)

La matrice dei suoi quadri, almeno fino ai più placidi anni ’80, è sofferta e accompagna le durissime lotte delle donne di quegli anni che è bene non dimenticare mai. C’è un mondo al maschile che non le perdona il fatto di essere autonoma e bella, tutta una congerie negativa da risolvere, se non nella vita, almeno nell’arte. E poi in tutt’e due. Come avrebbe suggerito alla nipote Sophie (che ha ereditato il dono del disegno dalla nonna): “Chi meglio di una donna?”.

Pina Traini, 2000Donne2000: contro il femminicidio (2023), fronte

Chi meglio di una donna che a 80 anni, come ha scritto nell’articolo un giornalista del calibro di Paolo Grosso, “decide di condividere la sua storia con quella delle grandi protagoniste dell’emancipazione del passato. Scocca allora la scintilla che la spinge ad abbandonare tele e spatola - tecnica già di per sé tutt’altro che facile - per approcciare tavola di compensato, bomboletta spray, collage (anche di sacchetti presi dalla spesa al supermercato, packaging o altre carte riusate più che riciclate) e unire in simbiosi il tutto col suo disegno a volte scolpito nei minimi dettagli, altre quasi evanescente”. Specie ora che non esce quasi mai di casa, dopo il Covid e un tumore vinto, ma che le ha fatto perdere un seno.

Pina Traini, 2000Donne2000: contro il femminicidio (2023), retro

Nella fotocomposizione in alto alcune delle sue opere più recenti. A partire dall’alto e procedendo da sinistra a destra: PenelopeLisistrataIldegarda di BingenTrotulaJames Miranda BarryBettisia GozzadiniMaria Gaetana AgnesiRita levi MontalciniAlda Merini2000Donne2000: contro il femminicidioOlimpia de GougesGinevraCome Artemisia Gentileschi, retro di un Autoritratto, la pittrice al lavoro nel suo salotto, retro di 2000Donne2000Coco ChanelSofonisba AnguissolaAmazzoniCorinna di TanagraSaffoGaspara StampaMatilde SeraoUrsula von der Leyen.

Pina Traini, Francesca Caccini (2022)

Il ritratto di Maria Gaetana Agnesi insieme a quelli di Francesca Caccini, Rosalba Carriera e Ildegarda di Bingen saranno esposti durante la prima serata della rassegna IN_AUDITA MUSICA, curata dalla musicista Chiara Nicora e dedicata alla riscoperta delle armonie delle grandi compositrici.

La cavalcata tumultuosa delle sue Amazzoni è sempre viva in cuore, occhi e mani di questa giovane ottantenne.


IL VOLTO DELLE PAROLE


SCRITTURE DI LAGO SCRITTURE DI LUCE

Il volto delle parole

Fotografie di Paolo Della Corte e Raffaella Grandi

A cura di Debora Ferrari, Luca Traini

Banca Generali Private Como, dal 29.09.23 al 29.10.23

Viaggiamo in mondi infiniti e diversi quando siamo dentro un’opera di narrativa, incontriamo personaggi, odoriamo paesaggi, vibriamo di emozioni. Dalle parole scaturiscono miriadi di colori e suoni ed echi del nostro vissuto, non solo della storia. A quale epoca si rifaccia il testo non importa, siamo in grado di viaggiare sempre nel tempo e di cambiare noi stessi l’impatto col mondo descritto. Ma quand’è che incontriamo l’autore? Chi è l’alchimista del verbo capace di costruire mondi prima mai esistiti, se non pensati dalla sua anima creativa? (Debora FerrariLuca Traini).

La promozione della cultura in tutti i suoi aspetti è un aspetto fondamentale della mission di Banca Generali Private di Como e del suo District Manager Guido Stancanelli. Una delle punte di diamante di quest’impegno è certamente la promozione del Premio Scritture di Lago, nato per diffondere la conoscenza dei laghi prealpini attraverso la letteratura e incentivare sia la lettura che la scrittura di testi ambientati sui laghi, giunto quest’anno alla IV edizione.

Sulla scia del sempre maggiore successo acquisito dal Premio a livello nazionale, Banca Generali Private ha deciso di presentare nella sua sede di Via Lungo Lario Trento 9 un’importante mostra fotografica che ha per tema proprio il mondo della scrittura: SCRITTURE DI LAGO SCRITTURE DI LUCE Il volto delle parole.

L’esposizione si articola in 38 fotografie, che vedono rappresentati sia noti scrittori italiani affermati a livello internazionale che vincitori e finalisti del Premio Scritture di Lago, e vuole sottolineare tanto l’importanza dell’identità individuale quanto l’esperienza vitale che passa alla sapienza della parola scritta, alla sua unicità.

Nel primo caso si tratta di 24 ritratti a firma di uno dei più rinomati fotografi italiani, Paolo Della Corte, e vedono protagonisti: Simonetta Agnello Hornby, Antonia Arslan, Tullio Avoledo, Raffaello Baldini, Riccardo Calimani, Guido Conti, Carlo Della Corte, Alain Elkann, Luciano Erba, Giovanni Giudici, Franco Loi, Claudio Magris, Luigi Meneghello, Giovanni Montanaro, Alberto Ongaro, Fernanda Pivano, Giuseppe Pontiggia, Mario Rigoni Stern, Giuliano Scabia, Fulvio Tomizza, Alberto Toso Fei, Cesare Viviani, Andrea Zanzotto, Alvise Zorzi.

Vincitori e finalisti del Premio Scritture di Lago, sia nella sezione degli Editi che in quella degli Inediti, vengono invece proposti negli scatti di una fotografa emergente di particolare sensibilità psicologica come Raffaella Grandi: Camilla Baresani, Federica Brunini, Anna Danielon, Patrizia Emilitri, Gaia Manzini, Silvia Montemurro, Andrea Salonia, Franco Vanni e Giuseppe Battarino, Angela Borghi, Emilia Covini, Erica Gibogini, Alberto Pizzi. È inoltre presente un ritratto della scrittrice Marina Di Guardo opera di Luca Pozzaglio.

Paolo della Corte, figlio dello scrittore Carlo Della Corte (Premio Selezione Campiello 1977, 1990 e prezioso collaboratore di Fellini), insegna Fotografia all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Nei suoi archivi compaiono più di cinquecento artisti e scrittori di indiscussa fama nazionale e mondiale. Sue foto sono state pubblicate nei principali giornali e riviste italiani e internazionali (Specchio de La Stampa, Venerdì di Repubblica, Sette del Corriere della Sera, Paris Match, Le Monde, Liberation, Die Zeit, The Guardian, Panorama, L’Espresso, Gambero Rosso). Il suo libro e la sue mostre più recenti sono (R)esistere a Venezia (TraRari TIPI, 2019) e Venezia2050 d. C.… e venne l’acqua grandissima (Sala Lettura dell’Ateneo Veneto, 2021).


Raffaella Grandi, fotografa dedita in particolare al ritratto e all’interior disegn, ha conseguito il Master di Reportage presso l’Accademia di Fotografia John Kaverdash di Milano. Ha esposto alla Libreria Feltrinelli di Varese per la Varese Design Week con la personale House Invaders e altre geometrie (2018), riproposta lo stesso anno alla Galleria Falchi di Diano Marina. Sue foto sono state presenti nelle mostre curate da Debora Ferrari e Luca Traini OBIETTIVOSOGGETTIVO Arte fotografica di Roberto Molinari (Museo Civico Floriano Bodini, Gemonio, 2018) e COME LA LUCE Dai Macchiaioli allo Spazialismo (Castello di Masnago, Varese, 2019), così come nei rispettivi cataloghi editi da TraRari TIPI.


Il pubblico del Premio, il pubblico delle mostre su territorio insubrico e lombardo potrà così assistere a un’esposizione inedita e originale, mai realizzata prima, che lo porterà a conoscere i volti della nostra storia letteraria e darà un posto ai vincitori del Premio nel panorama narrativo e poetico nazionale. Alle foto saranno unite brevi biografie con bibliografia importante dell’autore, dove presente.

Al progetto fotografico si unisce lo storyboard di Pier Luigi Acerbi che illustra la nascita della statuetta-stele, nuovo premio per Scritture di Lago, opera in ceramica di Walter Tacchini, che sta esponendo col sostegno di Banca Generali Private di Como in vari territori (Varese-Como 2022; Arcola 2023).


UN NUOVO MUSEO, UNA NUOVA MOSTRA
Opere di Walter Tacchini e maschere africane al MAP di Arcola

APERTURA DEL MAP Museo Arti e Paesaggi

Alla Torre Pentagonale Obertenga di Arcola (SP)

E inaugurazione, ingresso libero, della mostra museale

ARCHETIPI DANZANTI

Opere di Walter Tacchini e del Museo Castiglioni di Varese

Sabato 3 giugno 2023, ore 16.30, Castello di Arcola 

Il centro di Arcola in una foto di Pier Luigi Acerbi

Arcola, il diamante della Val di Magra, è un luogo attraversato nei secoli da eventi, personaggi e avvenimenti che sono stati capaci di costruire un territorio ancora oggi crocevia di un’importante realtà economica, sociale, culturale e ambientale. Un solo Comune, tanti splendidi borghi, una pianura preziosa, la Magra che scorre verso il mare e colline rigogliose fanno da cornice ad altrettanti gioielli che l’umanità ha saputo creare nei secoli: la Torre Pentagonale, il Castello di Arcola, il Castello di Trebiano, il Forte di Canarbino, la Chiesa parrocchiale di San Nicolò, la Pieve dei Santi Stefano e Margherita e il Santuario di Nostra Signora degli Angeli, giusto per fare qualche esempio.

Con l’apertura del MAP_Museo Arti e Paesaggi nella Torre Pentagonale Obertenga di Arcola (XI secolo) inizia una lunga stagione di proposte espositive di rilievo che mirano a valorizzare il territorio e a creare sinergie anche interregionali. Archetipi danzanti con le maschere in ceramica di Walter Tacchini e quelle africane del Museo Castiglioni di Varese vuole far riflettere sulla forza evocativa dell’archetipo in un luogo dove la maschera è importante nella tradizione dell’Omo ar bozo e dove le attività artistiche si moltiplicano per continui scambi culturali.

Una veduta di Arcola in un dipinto di Telemaco Signorini (1884-88)

L’operazione è stata fortemente sostenuta dal sindaco Monica Paganini con la Giunta e i collaboratori, interni ed esterni, per dare al borgo una forza aggiuntiva nell’attrattiva culturale e turistica e convalidare la volontà di valorizzazione del patrimonio storico-architettonico da parte dell’Amministrazione.

Walter Tacchini con Debora Ferrari e Luca Traini davanti Torre e Castello Obertengo

Nelle sculture di Tacchini c'è il segno di una grande stagione della cultura europea che si muoveva tra Sartre, le sorelle De Beauvoir, Cocteau e Prévert, con cui ha lavorato. Oggi ottantenne sempre dedito alla creazione con una verve ineguagliabile (sculture, quadri e mobili rigenerati con Liguria Vintage e le opere nella sede di Crastan Caffè ad Ameglia), Tacchini nel tempo elabora una vena creativa molto personale, dedita al recupero di forme e archetipi ancestrali, ispirati sia alle Steli antropomorfe di 5.000 anni fa della Lunigiana, sia alle maschere tipiche come nella tradizione del Carnevale storico di Ameglia dell’Omo ar Bozo che lui stesso risveglia e rinvigorisce coi suoi costumi. Accanto alle opere di Tacchini nella Torre si possono ammirare, in un dialogo continuo alto ben sette piani, maschere africane della collezione dei gemelli Angelo e Alfredo Castiglioni, noti archeologi ed etnologi a cui è dedicato il museo di Varese. La maschera non è un oggetto a sé stante ma parte di un contesto che comprende danza, musica, ritmo, estetica, sacrificio e cerimonia. Una maschera assume il suo significato completo, infatti, solo nel momento in cui è indossata da un particolare individuo, che esegue determinate azioni, in un preciso contesto. In Africa spesso le maschere rappresentano gli antenati mitici o gli animali totemici. Gli spiriti e le forze incontrollabili della natura vengono rappresentate in forme stilizzate, quasi astratte, perché, in quanto concetti incorporei, prendono vita attraverso la maschera.

L’esposizione, già avviata nel 2022 a Varese e Como e curata da Debora Ferrari e Luca Traini con Marco Castiglioni e Sara Conte, ricercatrice del Politecnico di Milano, è realizzata da Musea Trarari TIPI in collaborazione col Museo Castiglioni di Varese, insieme a vari partner territoriali - liguri e varesini - che ne hanno apprezzato il valore.

Un dettaglio della mostra fotografato da Pier Luigi Acerbi

“Grazie all’incontro col Museo Castiglioni e col Comune di Varese, che hanno messo a disposizione una collezione di maschere africane di rara bellezza - dice il sindaco Monica Paganini - la mostra si arricchirà di suggestione e mistero nell’incessante percorso di ricerca della nostra comune origine. È in questo luogo, testimone del tempo, simbolo della nostra identità e storia, che Walter Tacchini, il nostro Walter, con la sua straordinaria potenza espressiva e la sua arte che si eleva da radici profonde e arcaiche verso orizzonti inesplorati, ha trovato lo spazio per far vivere le sue maschere, “Archetipi Danzanti” capaci di condurci in un fluire di emozioni potentissime che proiettano i nostri vissuti ancestrali”.

Accompagna la mostra un catalogo edito da TraRari TIPI edizioni, casa editrice specializzata in Arte &, e all’interno della Torre il pubblico potrà trovare materiali e brochure gratuite.

All’inaugurazione il 3 giugno 2023, ore 16.30 nella piazza davanti al Castello Obertengo e alla Torre, ci saranno i saluti delle autorità e dei partner, la presentazione delle opere in mostra e l’incontro con Walter Tacchini. Per l’occasione sarà possibile visitare gratuitamente a piccoli gruppi l’esposizione all’interno della Torre e ammirare la Sala Consiliare del Castello (sede del Municipio) inaugurata il dicembre scorso nella sua nuova veste con le opere del ciclo Kronos dello stesso Walter Tacchini. Seguirà un rinfresco con prodotti tipici del territorio in collaborazione coi supermercati Basko.

Sala Consiliare del Comune di Arcola con le opere del ciclo Kronos

Per visitare la Torre occorre prenotarsi scegliendo giorno e ora di visita sul form del sito WWW.MUSEOTORREDIARCOLA.IT perché ogni visita, della durata di 45 minuti, è permessa a massimo 5 persone alla volta.

Gli orari di giugno sono: venerdì 17-21, sabato e domenica 10-12.30 e 17-20.30. Ingresso € 3 con varie esenzioni.

Per info e materiali

culturalbrokers@gmail.com – segreteria.sindaco@comune.arcola.sp.it


FABIO CHIESA

Mostra all'Hotel Byron e diario poetico "Dell'imperfetto amore" 

Hotel Byron, Lerici

Dal 18 marzo all’11 giugno 2023

A cura di Tania Calenda e Debora Ferrari

Catalogo e libro di poesie TraRari TIPI (marzo-dicembre 2023)

Fabio Chiesa, pittore e poeta di profonda sensibilità (complesso dove inizi l’uno e finisca, anzi, non finisca l’altro) in mostra di fronte al Golfo dei Poeti. Architetto, insegnante, appassionato di musica, letteratura e scacchi, per quadri e versi mostra come perdersi in MetamorfosiInconscioPercorsi del cuoreDisvelamento e tornare con le geometrie sempre esatte dell’anima - c’è un preciso disegno tecnico (“techne” greca, dell’arte) nella rappresentazione di ogni sentimento - allo scavo interiore dei nostri occhi, della nostra voce sulla tela, nella pagina bianca.

“La prima sensazione che ho avuto guardando le opere di Fabio Chiesa è stata di serenità. I colori, così ben intrecciati, mi ritornavano un messaggio positivo e denso di ricercata personalità. Parlandogli, ne ho avuto conferma. Dipingere rappresenta un momento di gioia che appare in ogni tratto, in ogni scelta cromatica. Il colore come contraltare alla precisione del disegno tecnico altrettanto amato. Due dei volti di un uomo ricco di passioni creative.” (Tania Calenda).

“Sono frammenti di parole i colori delle sue opere, come piccole ali staccate da un volo, ora significano ferite, ora vortici di futuro, ora spiragli all’orizzonte. Una pittura tanto leggera quanto ricca e materica, perché sa cogliere la grammatica dell’essere universale, moto perpetuo di cambiamento a cui siamo tutti soggetti; niente è immobile e immutabile, così il pittore può esprimere l’incognita e la certezza dell’esistere.” (Debora Ferrari).

“La poesia di Fabio Chiesa non cerca scuse. Dice, parla e spesso lascia l’ultimo verso con tre punti di sospensione, invitando il lettore a continuare, commentare, sognare. Il poeta va sempre al dunque, con sincerità, eleganza e forza, testimoni della profonda sensibilità dell’uomo. La sua scrittura accompagna senza avere la pretesa di dirigere, eppure ogni parola è precisa, ogni situazione è chiara: composizione di elementi tutt’altro che facile. Vi riesce, con una facilità tutt’altro che semplice, frutto di una trasparenza di emozioni che, pagina dopo pagina, amore vero dopo amore vero (il figlio, gli amici, le donne amate, gli antenati, la terra, i lettori), invitano a immergersi nel concerto di colori dei suoi quadri.” (Luca Traini).


MARE IN CAMMINO

Nicola Perucca all'Hotel Byron e "In viaggio con Cesare Cosmico"

Una mostra che fissa lo sguardo in profondità nel Golfo dei Poeti - Byron, Mary e Percy Bysshe Shelley - ascoltando con attenzione la voce di ogni onda. C’è il Mare in cammino di Nicola Perucca all’Hotel Byron - e per ogni mostra curata con Tania Calenda e Debora Ferrari trovo sempre qualche verso del poeta - dal 17 giugno al 17 settembre. Un mare che è già il cosmo nel moto ondoso inquieto delle opere di Nicola. Un invito ad andare oltre, nel cielo e ancora più in alto nello spazio profondo, come già con le sue vertiginose Città librerie (ne abbiamo già scritto in https://lucatraini.blogspot.com/p/arte.html). Il dialogo tra riverberi, nuvole e stelle prelude sempre ad altro, questa volta sulla radiazione di fondo del suo amato Čiurlionis, compositore di musica e pittura in perpetua tensione, e con la memoria che torna a uno dei film più amati dal pittore, Solaris di Tarkovskij. Tutti gli oceani, reali e della memoria, in cui ci troviamo immersi, da cui cerchiamo ostinatamente di riemergere. E il Tirreno, che chiamiamo mare, per i geologi è un oceano. E chi più di un pittore ama la geologia, il discorso sulla terra che da cumulo di strati si fa polvere, colori? Chi più di un artista nato a La Spezia come Nicola, che ci offre composizioni concrete che trascendono ogni orizzonte?

Nicola Perucca, Solaris (Tecnica mista su carta intelaiata, cm 40 x 60)

Scrive Debora Ferrari nella sua introduzione (Mare in cammino: quando spazio e tempo diventano musica) al catalogo edito da TraRari TIPI in limited edition: “Anche quando si cammina con gli occhi si incontrano mondi che non avremmo mai immaginato di percorrere. Lo sguardo va, cerca, toglie, aggiunge. Lo sguardo è padrone del nostro sentire razionale ed emotivo. È così col mondo ed è così col mondo dipinto, con gli spazi che ogni autore ci regala come finestre del possibile dove anche noi possiamo abitare. Davanti alle opere presentate nella mostra all’Hotel Byron ci troviamo a fluttuare, a galleggiare in una sostanza che è al contempo fisica e materica come spirituale e impalpabile. Mare in cammino ci porta attraverso un concetto epicureo di trasformazione che nel mutamento trattiene una sua coerenza, quella dell’esistere. I colori e le superfici delle carte e delle tele diventano l’appoggio palpabile del nostro sentire, come i sentimenti su un lenzuolo, come due mani che si sfiorano unendosi”.

Nicola Perucca, Paesaggio (Tecnica mista su carta intelaiata, cm 40 x 60)

Sono opere in linea con i lavori più recenti  e in realtà molto legate a una mia vena espressiva mai esaurita che va avanti da tempo, che non prevede impianto grafico ma una maggiore libertà pittorica, meno illustrativa. Anche altri lavori di piccolo formato realizzati recentemente testimoniano questa mia potente tendenza e questo impulso sempre maggiore verso la libertà dal contorno (Nicola Perucca).

Nicola Perucca al tavolo di lavoro


50 ANNI CON PICASSO

Commento musicale Eliane RadigueL’Île Re-Sonante 

Altri miei testi recuperati in tempo per l’anniversario della morte di Picasso. Altri dialoghi fra lui e protagonisti dell’arte fotografati dal caro, compianto amico André Villers per la mostra REFLEXions dans les chambres d'André Villers, curata da Debora Ferrari e dal sottoscritto ad Aosta nel 2008. Letti durante la presentazione del nostro catalogo al Salone del Libro di Torino dello stesso anno.


ARTI QUOTIDIANE


Picasso

La conquista del quotidiano, la più difficile per un artista. Dipingere una casa. La casa. Ma le sue linee devono compensare quelle di un cardiogramma. Tetto, pareti, finestre, contenere tutte le vertigini di quegli impulsi e non darlo troppo a vedere, sennò i vicini, il prossimo, si spaventa. Il fuoco, uscendo dal camino in forma di fumo, continuerà il suo dialogo col cielo. E sulla terra, qui, a Mougins, sarà come condividere sigarette con amici. Parlando del più e del meno che fa battere i nostri cuori.

Hans Hartung

La conquista dell’arte ogni giorno, Pablo. Specie se una patria te la marchia come “degenerata” e devi combatterla in una guerra vera, in una legione straniera, perdendo l’uso delle gambe. La meravigliosa ciclicità del vivere, allora, è questo rullo che stendo su ogni tela per incidere i miei graffi. André lo sa che io cerco di strappare in questo modo al tempo della storia i suoi perché. Non spreca inutili parole, richiede azioni precise la nostra vita, la nostra arte.

Michel Butor

Anch’io che prendo forma nella foto e scrivo non perderò tempo. Metro dei versi: 0,75 litri. La misura concordata con André per il progetto Bouteilles de Survies. Bottiglie di sopravvivenza, perché non si vive di solo pane ma anche di quelle acque intellettuali care agli antichi filosofi, meglio se vino. Bere poesia: la cerimonia giusta oggi per consacrare pensieri, parole, opere a un tempo diverso da quelle due lancette in  competizione.

 

FORME NECESSARIE DEL SOGNO


Picasso

Evocatemi pure la metamorfosi, il sogno, il gioco e vi ringrazierò. Ma fate bene attenzione anche mentre facciamo un autoscatto io e il giovane André. Sognatori, la vostra carezza impalpabile per me è come trovarmi concretamente in Africa: comprendere la vita di ogni maschera e poi tornare in Francia a combattere ogni colonialismo, convinto dall’eredità più onesta del mio continente. Esperti dell’incubo che può diventare sogno, utopia, lotta per una realtà migliore, è dai tempi del cubismo che rimetto in discussione le vecchie prospettive. Da Guernica alla Colomba della pace, da un esilio di cui non vedrò la fine, io ricerco da sempre un punto di vista più alto certo della bellezza del mondo.

Max Ernst

Le mie mani quando accarezzano hanno unghie così lunghe che possono graffiare. Sogni o incubi, lasciano sempre un segno. Sta a noi, Pablo, a tutte le tecniche da inventare, cercare la strada per ricomporre grafie che altrimenti restano dentro come ferite aperte. Se il viaggio andrà a buon fine, la Loira disvelerà ancora una volta un bellissimo corpo di donna. Parola del mio sorriso e di questi capelli bianchi fotografati liberi e scarruffati al vento.

Hans Arp

Io accarezzo sempre le mie opere, perché hanno le forme tonde e sinuose della vita. Le scolpisco, le accarezzo e le lascio subito andare, perché la vita è inafferrabile. Ogni giorno cerco di rinnovare la mitosi di queste cellule e lascio prendere loro la forma dei miti ancestrali che sono dentro di me. Devi sentirle come ho scritto in poesia: “Lamentarsi, cantare, gemere, sospirare”. La cura che riservo a queste esistenze che vanno oltre la mia è la risposta alle forme imposte dagli orrori della storia. Il caso mi ha dato questa necessità.

Joan Mirò

“Noi ci salviamo in giochi più profondi”, Pablo: l’ha scritto Arp. E ci sono anche donne che hanno 100 teste -  Max ne ha fatto un romanzo-collage. Facciamo 1+1 e prima della somma inventiamo una nuova matematica. Usciamo dalla nube degli atomi come nella mia foto in bianco e nero. I colori poi daranno un’altra presenza. Quella dei bambini che fanno un mosaico di tutti i sassi colorati di Pollicino e poi lo disfano subito per dar vita a un altro. Tu resti in Francia e io torno dove la Spagna è meno Spagna nel ’40, a costruire labirinti dove giocare con biglie sempre di nuovi colori. Mi servono 35 anni per vincere la dittatura di Franco. Poi vince anche l’arte.


TRATTI, RESPIRI E ALITI DI VENTO


Picasso

C’è un ultimo ritratto che ho lasciato alla tela un anno prima della morte. Dopo tante opere dedicate all’amore ho visto in faccia proprio lei. E forse non era qualcosa di diverso. Ogni passione ha la sua sindone. Ogni tratto dipinto, per quanto fluido, conosce il gelo quando è compiuto. È una questione di passaggio di stati. Chi vedrà il quadro, se lo ama, riattiverà la chimica dell’arte.

Fellini

André mi ha fotografato per strada, per La strada. E in ogni tratto di strada, quando sono in crisi, trovo te, Pablo, come compagno di viaggio. Eppure ci siamo visti una sola volta a Cannes, forse era il ’61. In sogni a occhi aperti non so quante altre, perché cerco di riprendere ogni scena muovendo i macchinari come un pittore cubista. Ti dedico la mostra contemporanea di artisti antichi nel mio Satyricon. Lascio agli spettatori tutte le illusioni della realtà, dello schermo. Noto che muori ma io tornerò a trovarti, in un’altra Prova d’orchestra. E questa volta non dovremo abbattere muri.

Léo Ferré

Parli del futuro in una foto, Fellini, ma io di muri ne avevo già abbattuti tanti prima che tu cominciassi a fare film. Perché le note possono abbattere ogni muro. E se ci riescono diventano canzoni. D’amore e di anarchia: quelle pareti devi averle già infrante dentro di te. Poi torna il tempo, che gioca a farci costruire, costruire anche inutili difese contro di lui. Respira, Leo, respira quest’aria di Toscana. André ha trattenuto il respiro per fare questa foto. Respira anche per lui. È come una pausa in un’altra canzone. La stessa di quando altri canteranno le tue.

Alexander Calder

Tu non sai quanto ho dovuto respirare, Leo, quando giocavo a football o a lacrosse. Amici che avete nel cuore l’Europa, ricordate uno sportivo americano che finì a Parigi per fare giocattoli e si ritrovò a doversi inventare un circo in miniatura per tirare avanti da una costa dell’Atlantico e l’altra. Arte portatile, come il mio amico Duchamp. Questione di correnti, oceaniche. Sennò perché fare il fuochista in una nave che aveva il mio stesso nome? Al largo del Guatemala ho visto nello stesso tempo il sole sorgere e la luna tramontare. E chi siamo allora per diventare artisti? Plasmiamo, attenti al ritmo, al respiro: se una cosa cade, l’altra sale. Quindi continuiamo a costruire. Statue ben piantate per terra e poi altre che si alzano in volo, mobili come rami leggeri e foglie al primo colore. Sto parlando di questo mentre mi fotografa André. E il respiro non muore se un’immagine è la sua. Tu sai che basterà un soffio o un alito di vento a far danzare ancora una volta la vita che hai scolpito.

Luca Traini


ANDRÉ VILLERS: PICASSO E GLI ALTRI Dialoghi in bianco e nero

Prévert, Boulez, Le Corbusier, Cocteau, Simone De Beauvoir, Xenakis, César, Clouzot, Ionesco


ANDRÉ  VILLERS, IL FOTOGRAFO DI PICASSO

Debora Ferrari, Luca Traini, REFLEXions (Aosta, Brenta, Venezia 2008-2010)


ARCHETIPI DANZANTI Opere di Walter Tacchini

 

ARCHETIPI DANZANTI

Opere di Walter Tacchini

a cura di Debora Ferrari e Luca Traini

con Marco Castiglioni, allestimento Sara Conte

Museo Castiglioni Varese dal 9 luglio all’11 settembre

Inaugurazione con apericena Sabato 9 luglio Ore 18

Banca Generali Private Como dal 12 luglio all’11 settembre 2022

Inaugurazione con apericena Martedì 12 luglio Ore 18

PROROGATA FINO AL 6 GENNAIO 2023

Una doppia mostra a Como e Varese rende omaggio ai prodigi e alle fantasticherie di Walter Tacchini, artista di La Spezia dal respiro internazionale. Nelle sue sculture c'è il segno di una grande stagione della cultura europea che si muoveva tra Sartre, le sorelle De BeauvoirCocteau e Jacques Prévert. Oggi ottantenne sempre dedito alla creazione con una verve ineguagliabile (sculture, quadri e mobili rigenerati con Liguria Vintage e le opere collezionate da Crastan Caffè nella sua sede Romito Magra), a vent’anni Walter ha scoperto che le mani erano un efficace strumento di creatività e quindi ha cominciato a dipingere, fare statue, scolpire la pietra, intagliare il legno, giocare con qualsiasi materia malleabile. La svolta della sua vita data agli inizi degli anni Sessanta quando la ditta edile del padre era impegnata nella costruzione della nuova casa di Franco Fortini e di sua moglie Ruth a Bovognano, lungo la strada che da Ameglia conduce a Montemarcello. «Verso il 1962-63 Le Corbusier – racconta Tacchini – venne da Fortini, di cui era amico. È in quell’occasione che lo conobbi e che apprezzò il lavoro che facevo con mio padre. Mi fece guardare verso Carrara, verso le cave, e mi disse: “Tu sei uno scultore nato, perché non ti dedichi alla scultura?”. E’ così che Tacchini inizia a elaborare una vena creativa assolutamente originale, dedita al recupero di forme e archetipi ancestrali, ispirati sia alle stele antropomorfe lunigiane di 5.000 anni fa come alle maschere tipiche come nella tradizione del Carnevale storico di Ameglia dell’Omo ar Bozo che lui stesso risveglia e rinvigorisce coi suoi costumi fin dagli anni ’70.

“Considerare la cultura come forza formidabile e valore inesauribile è un segno distintivo che caratterizza l’impegno di Banca Generali Private di Como nella sua offerta in campo artistico. Questa fiducia incrollabile nelle capacità creative di dare un senso positivo alla vita dell’individuo e al suo rapporto con la società in cui opera per un progresso condiviso è in sintonia con la persona e l’arte, in perfetta simbiosi, di Walter Tacchini. Con la mostra a lui dedicata, Archetipi danzanti, presentiamo quindi una personalità dalla verve ineguagliabile, capace di esprimere quotidianamente tutta una serie di creazioni originali che spaziano dalla pittura alla scultura, giocando con qualsiasi materia malleabile”. Scrive Guido Stancanelli, District Manager BGP, con Daniela Parravano, nella presentazione in catalogo.

Dai manifesti per il Teatro di Strada, di cui è artefice insieme ai grandi nomi europei, ai quadri, alle maschere, alle sculture che realizza anche per enti pubblici come di recente a Lerici, alle Uova e ai mobili rigenerati di recente creazione per Liguria Vintage di Marco Natale, usando una ricca serie di materiali che vanno dalla ceramica al legno. Al Museo Castiglioni il percorso si articola in rapporto alla maschere africane della collezione dei fratelli Castiglioni, mentre a Como i quadri materici ci riportano al valore del simbolo e alla sua interpretazione contemporanea, sul tema del tempo e della luce, elegante e poetica per un totale di quasi 100 opere nelle due sedi. Le mostre sono state annunciate in una conferenza incontro alla Fondazione Sangregorio di Sesto Calende, partner culturale dell’iniziativa, il 25 giugno alla presenza dell’artista, di alcuni partner e dei responsabili della Fondazione.

Catalogo edito da TraRari TIPI editore in limited edition.



Lo spazio, tra fisica e sentimento vitale

[...] Per Walter Tacchini possiamo parlare di ‘pensiero tangibile’. Raccoglie ogni istante la storia dentro di sé, la metabolizza, la trasforma, la crea a propria immagine dando all’elemento intellettivo una forma destinata a durare e testimoniare il pensiero che l’ha generata. Tra fisica e metafisica le opere di Tacchini si collocano sia nello spazio illimitato che tutto contiene -con quel discorso di micro e macrocosmo che cogliamo nei lavori- sia nello spazio divino che nutre l’animo umano. C’è predominanza dell’elemento sacro in tutto, sia per l’esecuzione che per la poetica. Si vedano le forme delle sculture, delle maschere, delle stele, ma si raccolgano anche le gamme cromatiche usate per la definizione delle campiture e il risalto dei pani, sia bi/ che tridimensionali. Lo spazio è quindi condizione di esistenza per le sculture, naturalmente, ma diviene un concetto capace di contenerne altri, ritornando sia alla narrazione del tempo, sia alle radici recuperate e rielaborate. Questo nell’ottica della complessità della sua opera globale, ovvero nell’insieme di progetti e sculture, grandi e piccole, realizzate nella sua lunga e fertile carriera. Ma quando parliamo di spazio singolo di ogni opera il rapporto è 1:1 con il pubblico, da una parte una preghiera dall’altra una tauromachia. In che senso? Proprio nel confronto vitale: davanti a una scultura possiamo porci come in meditazione, ma anche in sfida qualunque cosa rappresenti o emani il soggetto creato. Si sentono le mani del demiurgo artista, si sente la sua forza dinamica, potendo raccogliere sia l’aspetto ispirato, sia il processo sofferto della produzione. Tutte le opere di Walter Tacchini contengono radici, tempo, luce, spazio, divino, sentimento. È la capacità di far danzare gli archetipi che ce le rendono tanto ancestrali e contemporanee così come contemporanee ma fortemente antiche. Nel per sempre, meravigliosamente.

Debora Ferrari


Foto della recente mostra all'Hotel Byron di Lerici (da La Gazzetta della Spezia)

Walter Tacchini è uno di quei giovani ottantenni che fanno impallidire chi è giovane solo all’anagrafe. C’è da chiedersi se il merito sia delle uova che continua a forgiare ogni giorno o del fatto che queste opere, che ti lasciano a bocca aperta per quanto sono belle, siano frutto della sua giovinezza senza età. Naturalmente no. La risposta esatta è la seconda. Quindi non voglio dilungarmi a discutere delle uova nella storia dell’arte – è chiaro che dietro c’anche la lunga covata estetica dei millenni – voglio piuttosto sottolineare che non si tratta di ellissoidi o sferoidi risistemati freddamente, ma di creature-creazioni vive e vivaci che sanno giocare con tutte le vibrazioni della luce e infondere nell’animo di chi le contempla quella gioia di vivere che solo la vera arte sa offrire. Il regalo, come nelle vere uova pasquali, è lo spirito di rinascita che sta dentro.

Poi, le maschere. Che non mascherano nulla, anzi, rivelano quanto mascheriamo. Una sfilata affascinante di se stessi che l’ordinarietà tende a ridurre a uno e invece sono la somma di un’individualità più grande. Perché in quelle di Walter, anche se le puoi godere esposte beate e tranquille, ci senti pulsare dietro il teatro, quello di strada (è un’altra via che ha percorso prima e durante l’insegnamento all’Accademia di Carrara). È il passaggio davanti alla porta di casa di tanti diversi io che sono altri e altro, che devi invitare a pranzo per mangiare e bere i frutti di quella terra da cui l’artista trae altro. Sempre per te. Walter non ama la distanza fisica, le religioni misteriche, peggio, l’élite. Lui ti guarda, di persona o nella magia di quanto compone, cerca il dialogo e il confronto come gli artisti di una volta, come quando Picasso passeggiava per Mougins e si fermava a parlare con le persone in giro. Come va? La vita, voglio dire. Se la vita e l’arte sono una cosa sola, e per tutti, va bene.

Luca Traini

Walter Tacchini ritratto da Roberto Battistelli

Classe 1937, nato a Romito Magra, frazione di Arcola (SP), Walter Tacchini è un artista unico nel suo genere. La sua prolifica carriera di scultore e pittore, grazie anche a una formazione sviluppatasi fra Italia e Francia, può vantare una lunga serie di collaborazioni e riconoscimenti a livello internazionale. Legno e ceramica sono i materiali che predilige per esprimere una sintesi assolutamente originale fra astrazione e figurazione. La sua forte personalità, caratterizzata da un’operosità inesauribile e da una continua attenzione tanto alle eredità del passato quanto agli aspetti più innovativi, non ha mai cercato un’arte fine a se stessa, ma un costante rapporto con altre dimensioni estetiche. Lo testimoniano i numerosi contributi al mondo del cinema e del teatro, grazie al design di costumi e maschere dalle metamorfosi sempre in atto. Da sottolineare, inoltre, il suo tenace impegno sociale nel corso degli anni e la promozione della sostenibilità ambientale anche in tempi in cui non era di moda. Un artista capace di far arrivare la complessità del suo lavoro dritta al cuore, grazie a una visione fuori dal comune unita a una limpida chiarezza d’intenti e realizzazioni. Un uomo caratterizzato da una risoluta volontà costruttiva, ereditata dai tempi in cui lavorava nell’impresa edile del padre. E proprio mentre era alle prese con la casa di Franco Fortini a Bavognano sopra Ameglia, verso il 1962-63, un gigante dell’architettura come Le Corbusier, ospite del poeta, si rivolse all’artista ventenne indicando Carrara e le sue cave: “Tu sei uno scultore nato, perché non ti dedichi alla scultura?”. “Come me, Le Corbusier era figlio di un edile e non era laureato” ha tenuto a sottolineare Walter in un’intervista a Repubblica nel 2019. Fatto tesoro di questo prezioso consiglio, nel 1966 Tacchini può già presentare a Sarzana la sua prima personale, che ripete l’anno successivo, quando espone le sue opere anche alla Mostra di Pittura di Castiglioncello ricevendo la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica Italiana. Nel 1968 amplia il suo raggio d’azione in Toscana, vincendo il Primo Premio alla mostra Mare e monti di Marina di Carrara, al Concorso Castello Malaspina di Fosdinovo e alla Galleria L’approdo di Viareggio. L’anno seguente, dopo essere stato presente alla VI Biennale Internazionale di Scultura di Carrara e aver vinto il Primo Premio al Concorso Luci e colori di Massa, approda a Milano dove è presente alla VI Mostra d’Arte Moderna e al Museo di Arte Moderna Pagani. Tra il 1969 e il 1970 partecipa ad esposizioni a Genova, Ancona, Carrara e Milano, oltre a compiere il primo passo verso il mercato internazionale quando viene premiato alla Prima Biennale Europea d’Arte Contemporanea a Dubrovnik. E proprio durante la VI Biennale Internazionale di Scultura di Carrara nel 1969 la sua opera suscita l’interesse del diplomatico Lionel De Roulet, che rincontra nello stesso anno a Bocca di Magra con Franco Fortini – durante uno dei classici “concili” organizzati da Giulio Einaudi - insieme alla moglie, la pittrice Hélène de Beauvoir (sorella della scrittrice Simone). Fra i tre si crea un legame di profonda amicizia, rafforzato dalla frequente presenza della coppia in Liguria, dove possedeva una casa a Trebiano, restaurata dal padre di Walter e comune di residenza dello stesso Tacchini. Una riconoscenza reciproca che si concretizzerà nel lascito dell’abitazione proprio al nostro artista e alla moglie Milena, quella che Hélène chiamava “ma petite famille italienne”. Nel 1970 è sempre De Roulet, a capo della Direction pour les Affaires Culturales del Consiglio d’Europa, a invitare Walter Tacchini a Strasburgo per la realizzazione di una scultura in arenaria dei Vosgi a Goxwiller. Nel 1971 è nuovamente in Francia, questa volta su invito della de Beauvoir, per realizzare una coproduzione di scultura mobile. Nel 1972 partecipa sia alla III Rassegna Internazionale di Primavera Atene-Roma che alla XII Biennale Europea d’Arte Contemporanea al Pireo. Torna nuovamente in Francia nel ‘73, a Montbéliard, invitato da Jean Hurstel al C.A.C. (Centre d’Action Culturelle) per interventi di Social Art (animazione di laboratori di scultura, serigrafia, maschere, scenografie, carnevali, ecc). Nello stesso anno, sempre a Montbéliard, realizza un bassorilievo in ceramica, viene nominato Socio Ordinario alla Permanente di Milano, espone alla VII Biennale Internazionale di Scultura di Carrara e partecipa alla Mostra Collettiva di Scultura presso Galleria Tre Papi di Sarzana. Nel 1974 approda a Parigi per iniziare la collaborazione con Albert Diato, ceramista che aveva a sua volta collaborato con Picasso a Vallauris, quindi partecipa alla X Mostra di Scultura all’aperto del Museo d’Arte Moderna Pagani di Milano e realizza scenografia e maschere della Commedia dell’arte al C.A.C di Montbéliard. Nel 1975 inizia la sua attività di docente all’Accademia di Belle Arti di Carrara, che durerà fino al 2005. Nel decennio che segue arricchisce ulteriormente il proprio percorso artistico fra Italia e Francia. Da sottolineare, nel 1976, l’esposizione di giornali e manifesti realizzati per i film di Armand Gatti a Parigi presso il Centre Pompidou. Nel 1977, con profondi interventi di Social Art insieme agli abitanti di Ameglia, inizia l’opera di rivalutazione dell’antichissimo carnevale autoctono L’omo ar bozo: fondamentale esperienza fra antropologia e arte che porterà avanti nei decenni successivi e di cui darà testimonianza anche nel libro L’omo ar bozo: dalla tradizione all’arte popolare, pubblicato dalle Edizioni Giacchè nel 2002. Sempre per un intervento di Social Art, nel 1980 viene invitato a Bruxelles dal Ministero della Cultura belga. Partecipa quindi al Festival di Avignone realizzando di un grandissimo affresco nel quartiere La Rocade. L’anno successivo cura la scenografia di Behren à tire d’aile per l’Action Culturelle du Bassin Houiller Lorrain (A.C.B.H.L.) a Freyming-Merlebach e riceve il Primo Premio Ameglia per la Grafica. Tra il 1982 e 1983 cura in Francia la scenografia di Grezgeschichten a Petite-Rosselle e la scenografia per l’A.C.B.H.L. Printemps de la Creation a Stiring Wendel. Nel frattempo consolida il suo impegno ambientalista con azioni di Social Art insieme a Lega Ambiente nelle manifestazioni La pace a Roma (1983) e In nome del popolo inquinato (1984). Sempre nel 1984 approda in Germania a Ingolstadt per la Mostra Collettiva Grafik und Malerei. Nel 1986, in Francia, cura la scenografia per Vita Lorraine a Saint-Avold. Nel 1987 torna a Sarzana per curare un intervento di arte sociale: Un carnevale diverso. Nello stesso anno realizza in Francia mostre personali a Saint-Avold e a Freyming-Merlebach. Nel 1990 partecipa al Convegno Internazionale Arte Sociale realizzando diverse scenografie sul tema dell’immigrazione per 37 gruppi teatrali. Gli anni dal ’91 al ‘94 sono dedicati soprattutto a contribuire alla costruzione di un importante laboratorio di ceramica con l’associazione culturale Radovan per il lavoro sulla statua-stele, rinnovando anche in questo caso una preziosa eredità, quella della statuaria della Lunigiana (attiva dal III millennio al VII secolo a.C.). Nel 1995 viene invitato a Strasburgo al V Congresso Europeo sull’Arte Sociale e, sempre a Strasburgo, l’anno successivo partecipa a L’art dans les Banlieues. Tra il 1997 e 1999 espone per ben due volte una propria mostra presso l’evento Cibus di Parma e partecipa nel ‘99 alla Fiera di Carrara. Tra il 1998 e il 2001 contribuisce alla realizzazione di un Laboratorio di Arte Sociale a La Spezia, dedicandosi poi nel 2000 a restauri e decori del piano inferiore della Parrocchia dell’Immacolata Concezione del suo paese natale. Sempre a Romito Magra, tra il 2000 e il 2002, realizza la decorazione interna ed esterna della fabbrica Crastan Caffè. Nel 2003, a Milano presso il Teatro ArtandGallery, cura la performance Omo ar Bozo all’interno della manifestazione I Semi di Joseph Beuys. L’anno che segue realizza per una campagna di sensibilizzazione ambientale di Acam il cartone animato Metano Energia Sicura. Nel 2006 viene inaugurato il Museo Aziendale Crastan Caffè che ospita le opere di Walter Tacchini. L’anno dopo, ad Arcola, presenzia alla mostra Terra di Luna all’interno della manifestazione Teatralità e Mistero e alla Collettiva Hombelico presso la palazzina delle Arti di La Spezia. Nel 2008, a Valencia, partecipa alla manifestazione Cultura e Solidarietà su invito de L’Agence Européenne de la Culture del Consiglio Europeo. Data al 2010 l’inizio di varie collaborazioni con architetti, attraverso concorsi di idee, mentre nel 2011 realizza a Milano una grande personale di maschere di ceramica. Del 2012 è l’esposizione permanente Kronos al Mandorlo di Sarzana. Nel 2013, presso l’Istituto Comprensivo di Vezzano Ligure, realizza con gli alunni un murales in ceramica (380x380). Successivamente compone una vetrata (184x162) all’interno di una villa milanese dell’Ottocento. Sempre nel 2013 restaura un ambiente interno di origine medievale in Sardegna. Nel 2017 organizza e allestisce una mostra itinerante dedicata a Hélène de Beauvoir, con la collaborazione di Marco Ferrari e col patrocinio del Parco di Montemarcello Magra-Vara sotto la guida del presidente Pietro Tedeschi: 21mila presenze. Nello stesso anno, al Premio Lions Club Lerici, premia la regista spezzina Federica Di Giacomo donandole una scultura. Nel 2018 vince il concorso La Spezia Porta di Sion per la riqualificazione del molo Pagliari e, l’anno dopo, cura di nuovo a La Spezia, presso il Museo Etnografico e Diocesano, l’esposizione temporanea Carlevà. Il carnevale nello spezzino tra Ottocento e Novecento. Sempre nel 2019 realizza la scultura Le ali della libertà, vincitrice del concorso nazionale La Spezia Porta di Sion. Inoltre cura una grande personale al Castello di Lerici, Kronos – forme luci e colori di Lerici, visitata da oltre 25.000 persone. In contemporanea, con la partecipazione di 75 ragazzi e 150 adulti, attiva un laboratorio di arte sociale dentro il Castello di Lerici che partecipa alla sfilata del Palio del Golfo di La Spezia. Nel 2019 inizia l’elaborazione e la trasformazione di mobili antichi riciclati. Nel 2020 ne espone diversi in Val Graveglia, nel comune di Pignone. Inoltre, una maschera antropomorfica in ceramica del carnevale di Ameglia Omo ar Bozo viene presentata al Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada. E sempre in Sardegna attiva un laboratorio di arte sociale a Santa Maria Navarrese, nel comune di Baunei, dal titolo Gabbiano Guerriero Contro l’Inquinamento Globale. Nello stesso anno organizza e allestisce la mostra dedicata a Hélène de Beauvoir a Casté curata da Debora Ferrari. Nel 2021, sempre a Casté, prepara alcuni bassorilievi dal titolo Le pietre raccontano. Negli ultimi due anni, infine, si è sviluppata la collaborazione con Liguria Vintage e il suo ideatore, Marco Natale. Le opere della serie Il legno racconta sono esposte all’interno della fabbrica e dello showroom Liguria Vintage a Riccò del Golfo. La sua mostra più recente, composta da una preziosa raccolta di maschere e uova di ceramica, è di quest’anno, da marzo a giugno , all’Hotel Byron di Lerici. Il 18 giugno 2022 è stata inaugurata la sua grande scultura Ninfa sul Sentiero 501 di Casté.


UNA NUOVA VISIONE DEL MIDeC DI LAVENO

Percorsi virtuali nella concretezza della ceramica

Neoludica è felice di aver lavorato e contribuito alla realizzazione dell’esperienza virtuale immersiva NUOVE TERRE, elaborata da API Srl  per il Museo Internazionale del Design Ceramico (MIDeC) col bando della Fondazione Cariplo e il patrocinio del Comune di Laveno-Mombello e dell’Assessorato alla Cultura Istruzione Turismo e Commercio.

Debora Ferrari, già direttrice di museo e curatrice d’arte esperta anche nel settore della ceramica (non a caso il titolo “NUOVE TERRE” è una sua idea), e il sottoscritto, in qualità di storico (https://lucatraini.blogspot.com/2021/09/il-potere-della-ceramica-larte-non-e.html), hanno curato i contenuti e supervisionato la scelta delle opere, veri e propri capolavori - e non solo del genere - distribuite nelle varie stanze (anche nell’ultima, quella segreta, da ammirare solo se si sono visitate tutte le altre).

La realizzazione della parte grafica è stata invece frutto dell’attività di Biancamaria Mori (direzione artistica) e Carlo Gioventù (scansioni e fotogrammetria) insieme al team di giovani sviluppatori di API Srl (che ha lavorato sull'aspetto grafico, sull'User Experience e sviluppato l'esperienza in toto), con la supervisione del managing director Massimo Spica. Si sono creati i mezzi oltre che l'estetica. E la novità, condivisa da tutti, è stata quella di non riprodurre gli ambienti del museo come si è soliti fare, ma di rivisitarli dando libero spazio alla fantasia e all’emozione rielaborandone le forme in una dimensione onirica.

Immersi in quest’atmosfera è possibile ammirare perfette ricostruzioni in virtuale di alcune delle opere più significative di quest’arte così da poterne godere tutti i dettagli: dal vaso ad anfora liberty di Spertini al piatto futurista di Portaluppi, dal classismo monumentale dell’Orfeo di Biancini alla formidabile essenzialità del  Ramo di Andlovitz, al mitico Portaombrelli C. 33 di Antonia Campi (solo per fare qualche esempio).

Un percorso costellato da piastrelle color Blu Laveno col logo del museo, macchine fotografiche e televisori vintage che, una volta puntati, svelano informazioni storiche, foto d’epoca e video che vedono protagonisti lavoratori, designer e progetti.

Un grande lavoro in sintonia con l’eccezionale capacità di innovazione espressa per un secolo e mezzo (1856-2003) dalla famosa Società Ceramica Italiana di Laveno, di cui il MIDeC ha fatto tesoro conservando una nutrita serie di pezzi della produzione di eccellenza. Infatti proprio l’industria lavenese, insieme e a gara con la Richard-Ginori, aveva fatto sì che questa  “arte minore” diventasse vera e propria Arte in sintonia con i grandi movimenti artistici del XIX e del XX secolo. Un’arte di massa, disponibile per tutti, che ha trasformato gli oggetti del nostro vivere quotidiano in opere di grande bellezza. Ecco perché questa particolare sensibilità estetica oggi viene tradotta anche nelle nuove arti digitali. Per favorire una visione aggiornata e affascinante di una grande tradizione in una dimensione interattiva capace di coinvolgere anche un pubblico di non specialisti. Per rivolgersi in particolare a giovani e giovanissimi, che nel linguaggio digitale trovano una delle forme di espressione e comunicazione preferite. Con la funzione interattiva e immersiva si possono accogliere nel museo anche persone impossibilitate a recarvisi o stimolare un pubblico lontano a scoprire Laveno-Mombello.

Il tour virtuale è fruibile dal sito del MIDeC.

Luca Traini

Vedi anche


STILL LIFE RELOADED (2020-21) Fabrizio Jelmini photographer

Banca Generali Private Como, Via Lungo Lario Trento 9

Inaugurazione Sabato 7 maggio Ore 11

Info, stampa e prenotazioni: culturalbrokers@gmail.com; tel. Banca 031 3254611

Dal 7 maggio al 30 giugno, in orario di apertura della filiale, a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, dopo essere stata presentata a Legnano, arriva a Como la mostra di Fabrizio Jelmini nella sede di Banca Generali Private con una trentina di fotografie, stampate in grande formato.

L'esposizione è accompagnata da un originale catalogo ed. TraRari TIPI in limited edition con fotografie scelte dell’autore, sempre a cura di Debora Ferrari e Luca Traini - editori.

“Lo Still Life di Jelmini ci porta dentro il concetto di esistenza non solo in quello di tempo e vanitas. Ogni scatto della sua fotografia con oggetti inanimati o piante e fiori è un palcoscenico in cui gli attori si mettono oltre il sipario per portarci un profondo significato. Quello che opera con composizione, inquadratura, scatto e preparazione della fotografia su supporti speciali è un’alchimia di colori e volumi, come in un dipinto ma con la luce e gli sfondi, e i soggetti racchiusi nel suo teatro ci narrano di vita e di morte, racchiuse entrambe nella memoria, come in un duplice asse cartesiano. Anche qui conduce un reportage: dalla vita delle cose alla permanenza nell’arte” (Debora Ferrari).



“Non posso che ringraziare Banca Generali Private - 
dice Guido Stancanelli, District Manager - che ci asseconda e sostiene nella realizzazione di questi eventi, come nel caso della mostra delle opere di Fabrizio Jelmini, uno dei fotografi più prestigiosi a livello nazionale. I suoi scatti di grande fascino e purezza di stile sono un esempio di come anche oggi, soprattutto ai nostri giorni, si possa fare arte all’insegna della più schietta originalità attingendo a una grande, ricca tradizione di linguaggi estetici capaci ogni volta di rinnovarsi. Le forme del Tempo Autentico di queste fotografie ci lanciano un messaggio di occhi attenti e cuore pulsante, che è preziosa testimonianza di cura e passione per vedere e cercare di comprendere con uno sguardo di sostanziosa premura le realtà in cui siamo immersi senza dare nulla per scontato”.


Viaggio intorno alla camera ottica

"La traccia del grande viaggiatore – e Fabrizio Jelmini lo è stato in foto e video per anni e grandi spedizioni – resta anche nell’evidenza di quanto rivelato fra quattro mura o in un giardino. Rigore e passione non si misurano in chilometri ma in viaggi-luce. Fotografie di continenti strappati alla deriva i suoi still life, dove il magma di fondo si compone e trasfigura in colori o bianco e nero dai contorni così precisi che non possono che alludere altrove: la fuga da ogni cornice. La visione di una foto nasce a camera chiusa. Apri gli occhi e la mappa dei soggetti inquadrati è una  cartina tornasole che non fa distinzioni fra quanto altri definiscono come cose e fiori, ma unisce in simbiosi quelle cronologie distanti in una sola, quella dell’obiettivo. La geografia dello sguardo prevede fiori fissati come meridiani con relative proiezioni che tendono al cielo fissandolo alle proprie radici. È una quotidianità che sottintende l’eterno, una pulizia formale che non teme le rughe del tempo. E i fiori di Fabrizio - teatro di anatomia e petali, sospesi - amano piegarsi e rivolgersi alle cose: è un dialogo che ricerca sostegno alla vita, allo stesso modo di noi umani verso quanto dovrebbe essere solo oggetto e invece è anche altro. È arte, è sentire con chiarezza la complessa differenza dei tempi fra diverse forme di esistenza, diversi tempi di esposizione" (Luca Traini).


Fabrizio Jelmini, @Emanuela Balbini, 2020

Fabrizio Jelmini è fotografo tra i più apprezzati e richiesti, capace di dosare la sensibilità del suo scatto nei multiformi campi d’indagine di quest’arte unendo in simbiosi rigore, passione e originalità e spaziando, in più di quarant’anni di esperienza, dal reportage giornalistico e documentaristico alla moda, dallo still life alla psicologia del ritratto. Nato ad Arconate nel 1961, ma sempre in viaggio fra i diversi continenti (ha visitato più di cento Paesi), è giornalista pubblicista e professionista della fotografia dal 1980. Numerose le collaborazioni, in primo luogo con prestigiose testate nazionali (Corriere della sera, Il Giorno, Repubblica, I viaggi di Repubblica, D-La Repubblica delle Donne) e riviste quali Ulisse 2000RidersAbout BMWCafe RacerVie e trasportiFlotte & finanza. Intensa anche l’attività con importanti emittenti televisive (Rai 1Rai 3Canale 5Rete 4LA7Arte, solo per citare le principali), curando reportage di particolare interesse, come a Mostar durante la guerra nell’ex Jugoslavia o in Iraq con uno speciale sull’uso bellico dell’uranio impoverito,  lavorando in qualità di operatore per il programma Overland e dirigendo numerosi documentari sportivi, aziendali e di carattere sociale. La passione per l’archeologia l’ha portato inoltre a seguire, in veste di fotografo e operatore, le spedizioni in Nordafrica dei noti antropologi Alfredo e Angelo Castiglioni, realizzando in Sudan dei film/documentario tra i quali Iveco Faraonic Track, selezionato alla XV Rassegna internazionale del cinema archeologico. Ha all’attivo tredici libri pubblicati, fra cui I presidianti: storia della rivolta popolare alla Cava Sant'Antonio (1991-1993), Sete d’Etiopia (2004), Nuotare nei cieli. Volare nei Mari (2012) e Metro Lilla (2015). Dal 2010 è docente di format, tecniche audiovisive e fotografia presso l'Accademia di Belle Arti ACME di Milano. Ha prodotto diverse mostre fotografiche: da I presidianti (1993) a La via dei faraoni neri (2003, esposta allo stand ufficiale Nikon durante il Photoshow del 2004), da I nuovi Milanesi (2013) a Ora d'aria (realizzata nel 2015 presso il carcere di Bollate e presentata al festival di filosofia Filosofarti) alla partecipazione a Matera 2019 col toccante reportage Favela (ambientato a Salvador de Bahia, nel Nordest del Brasile) nell’ambito della collettiva Fotografia e coscienza dell’uomo. Nella mostra Tempo autentico (Still life Reloaded 2020-21), a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, nella sede di Banca Generali Private a Como (dal 7 maggio al 30 giugno) sono presenti anche le opere della recentissima esposizione nella sede di Banca Generali Private a Legnano. L’artista è presente sui vari social, in particolare su Instagram dove presenta una nutrita galleria di tematiche: @fabriziojelminiphotography.


LA MADDALENA DI CARLO CRIVELLI Il primo amore

Commento musicale Josquin Desprez, Praeter rerum seriem 

La ricordavo sulla copertina di un catalogo - e dio sa quanto l’ho cercato – ma forse era un sogno quel libro, come le donne del pittore.

“Mamma, mi sono innamorato”.

“Ancora?”.

“Sì, ma questa volta è una signora?”.

“Una signora?”.

E indico il dipinto: “Questa. Ti piace? Ha i capelli biondi come te”.

Carlo Crivelli, Maria Maddalena, 1480, Rijksmuseum, Amsterdam

“Certo che mi piace. Mi piace tanto. Ma cosa diranno le tue fidanzatine dell’asilo?”.

Questo sì che sarà un problema - e non solo all’asilo.

È l’estate del 1970 e ci ritroviamo ospiti della zia di mia madre, Linetta, dove l’anno prima avevamo assistito al lancio dell’Apollo 11 - ero certo di aver visto la luce del razzo alla finestra  - e al successivo allunaggio nel Mare della Tranquillità (nome stupendo, sospirato).

Io, innamorato della Maddalena, sulla via dei 5 anni

La prozia aveva evitato il destino di contadina e insegnato alla mamma, di nascosto, a disegnare a carboncino. Dovrebbe scendere a lavorare nella piccola impresa di calzature del marito, al piano terra della loro palazzina, e invece si ferma, mi dà un bacio: “Ma quante ne pensi! A d’è bella ‘sa Maddalena, eh? Ma è ‘na santa: non la poi sposa’.” - e ride - “Però de Crivelli ha stroato un quadro pure ecco a Capudarca, jò la chiesa: chi sa se se pò jillu a vede’?”.

Vittore Crivelli, Polittico di Santa Maria in Capodarco, (foto Fondazione Federico Zeri)

Era vero che c’era un Crivelli a Capodarco, frazione di Fermo, ma era del fratello di Carlo, Vittore, e - forse perché non c’erano sante (o non potevo sposarle) - dal vivo e nel vivo non lo vidi mai.

Ma, come diceva mia madre (che non vedeva l’ora di andarsene al Nord), che c’erano venuti a fare quei due nelle Marche? Da Venezia poi!

Scappavano o quasi, un po’ come noi, come avrebbe fatto in seguito il Lotto. Le Marche fra XV e XVI secolo erano un territorio tutt’altro che marginale e, in fatto di traslochi, l’esempio l’avevano già dato gli angeli con la Santa Casa di Loreto e il relativo miracolo economico generato dal crescendo dei pellegrinaggi.

RECANATI: LORENZO LOTTO E GIACOMO LEOPARDI Lontananza di due solitudini (2008)

E poi anche nella Serenissima non c’era posto per tutti, specie per i più inquieti. Infatti Carlo Crivelli, 517 anni prima, aveva rapito per amore Tarsia, moglie di un marinaio che era chissà dove, con cui aveva poi avuto per mesi una relazione appassionata, consensuale e con la donna riconosciuta parte attiva, alla faccia della Scolastica, dagli advocatores che poi li avrebbero condannati a sei mesi di detenzione. Un’inezia rispetto, per esempio, alla Bologna universitaria, dove gli adulteri venivano condannati a morte, o alla colta Ferrara, che condannava al rogo le donne adulterine. A questo proposito leggete l’ottimo articolo di Liliana Leopardi .

Scandalo, ipocrisie e timore di vendetta da parte di marito tradito e famiglia: Carlo, scampato anche alla pestilenza in carcere, abbandona per sempre Venezia e raggiunge Zara seguito dal fratello Vittore, probabilmente per evitare rappresaglie trasversali.

Di tutto questo periodo, dell’artista, resta poco di cui siamo certi. Nel contesto di un’inquietudine decisamente più grande che investiva anche la città in cui i due pittori si erano rifugiati, con la grande avanzata dell’impero ottomano che pochi anni prima aveva conquistato Costantinopoli.

Carlo Crivelli, Polittico di Massa Fermana, 

Mentre di dubbi si accumulano l’unica sicurezza è che Carlo è il primo ad avventurarsi nelle Marche, perché nel 1468 era già nella mia terra. Forse perché temeva altri guai e vendette della Dalmazia veneta? Chi può dirlo? Fatto sta che in quell’anno firma il Polittico di Massa Fermana, quel minuscolo paese dall’ingresso gigantesco - la Porta Sant’Antonio - così strana e bella.

Massa Fermana (FM), Porta Sant'Antonio, XIV sec. (foto Paula Castelli)

Cosa ribolliva in quell’uomo che trapassava nell’artista? Lo splendore tardogotico della pala principale in simbiosi con le forme già così umane, umanistiche dei quadri della predella. Nel Cristo nell’orto del Getsemani, in quello che risorge c’è l’eco del Mantegna (Crivelli era stato a Padova)? Nella flagellazione il pavimento piastrellato richiama quello di Piero della Francesca a Urbino? Domande sorte in seguito, io all’epoca ero tutto preso dalla Madonna mamma che pareva tanto stanca, dal quartetto dei suoi amici santi ora tutto lusso ora trasandati e stracci. Compagnia strana per Gesù bambino, che sembrava distratto con la voglia - se lo capivo! - solo di giocare a palla.

Carlo Crivelli, Polittico di Porto San Giorgio (foto portosangiorgio.it)

Avrei scoperto decisamente più tardi che aveva dipinto un Polittico a Porto San Giorgio nel 1470, dove esattamente 500 anni dopo sarebbe nato mio fratello Luissandro, biondo come il bambinello della Madonna Cook che sta alla National Gallery di Washington. Perché nell’Ottocento avevano demolito la vecchia parrocchiale in cui stava l’opera che, smembrata, avrebbe diviso il suo splendore fra Inghilterra, Polonia e Stati Uniti.

E proprio il fratello di Carlo, ormai trasferitosi ad Ascoli Piceno, approda nelle Marche qualche anno dopo, intorno al 1476. Vittore occupa lo spazio lasciato libero nel Fermano dipingendo anche un polittico a Sant’Elpidio a Mare (che sul mare non ci sta affatto), il vecchio comune nobile alle spalle di quello giovane e proletario, Porto Sant’Elpidio, in cui eravamo finiti ad abitare.

Vittore Crivelli, Polittico di Sant'Elpidio a Mare, 1480-69 (foto regione.marche.it)

Vittore circondava più da vicino il nostro paese con la sua pacata bellezza, quasi figlia di campi, colline e mattoni in tutte le loro sfumature di giallo.

Carlo invece sembrava abbracciarmi a superiore distanza, con quella ricerca del sublime che sconfinava nei cieli. Camerino, Matelica, Fabriano, Pergola e Ascoli. Soprattutto Ascoli, con quell’Annunciazione dove l’angelo ha fretta di condividere qualcosa di bello mentre tutti guardano di qua e di là e parlottano.

Carlo Crivelli, Annunciazione di Ascoli, 1486

Solo la Madonna e il pavone al piano superiore se ne stanno quieti, con quella luce che scende dall’alto e dovrebbe portare pace anche se il cielo sembra l’Adriatico in tempesta.

Poi si vorrebbe tornare a essere quei piccoli angeli che sostengono le braccia del Cristo nella Pietà di Montefiore dell’Aso, perché c’è quella cosa che allora non capivo. Gli esseri umani e quello che fanno non dura per sempre.

Carlo Crivelli, Pietà di Montefiore, 1471

Si muore ad Ascoli Piceno come a Fermo. A volte mi chiedo ancora come sia possibile. Zia Linetta,  anche tu sei morta, a Capodarco, e non ricordo quando.

La nostra Maria Maddalena sale l’ultimo gradino sollevando il mantello in punta di dita. L’ampolla degli unguenti, che forse potrebbero guarire, non si aprirà. Lo sguardo resta impenetrabile anche quando la ritrovo ad Amsterdam nel 1987. Certe verità, forse, erano accessibili al bambino che non ero e non posso essere più.

Carlo Crivelli, Predella della Resurrezione dal Polittico di Massa Fermana

Ora diciamo che resta l’arte, in fondo il miglior sostituto dell’amore.

E resta un libro, che non trovo più.

 

Luca Traini


BRAMANTINO E BRUEGEL Sentire l'arte sulla propria pelle

I primi, profondi contatti con l’arte - il tatto oltre la visione di quelle pagine di cataloghi che non erano il Postal Market - li ho sentiti con forza quand’ero bambino e vivevo in quello che, a torto, è stato considerato il paese meno artistico d’Italia: la piccola, felice Repubblica Popolare di Porto Sant’Elpidio degli anni ’70. Tutto nuovo, nessuna sudditanza rispetto a chissà quale passato favoloso, caratteristica castrante - e indegna proprio del nostro migliore passato - della mia Italia.

Dopo tante fughe dalle Marche dell’interno come dalla Lombardia profonda, il cassone dove mia madre, finalmente sola e pittrice, teneva i suoi libri d’arte era nella camera dei suoi genitori, che vivevano con  noi. Lì stavano i Maestri del colore con Bramantino e i Classici dell’arte con Bruegel e io li sfogliavo sedendomi protetto in quel baule. Ma esiste protezione contro le scariche elettriche della grande arte?

Naturalmente no. E io cercavo di contrastare il Trionfo della morte di Bruegel imbrattando con la biro le pagine del libro con tutta una serie di soldati stilizzati di rinforzo contro l’esercito di scheletri che sembrava aver la meglio sui poveri umani, sulla pace che la mia famiglia materna aveva da poco conquistato sul ramo paterno, violento e nostalgico.

Poi, però, veniva Bramantino, con l’Ecce Homo allucinato, la Crocifissione di Brera e Madonna col Bambino che sta all’Ambrosiana, con quel cadavere composto accanto una rana mostruosa. Commento della nonna, vecchia contadina Azione Cattolica, che forse vuole solo andare a dormire (ma non è così): “Guarda, ormai hai sette anni: i peccati cominciano a essere mortali”. Così presto? I 10+ che mi ha dato in prima elementare il maestro Angelo Tocchetti, grande maestro per sempre, contano poco perché è un comunista…

Non mi arrendo. Continuo a disegnare aiuti contro la morte anche nei dettagli del Trionfo bruegeliano. Vorrei pure cancellare tutto il contesto di Bramantino. Mia madre con dolcezza mi dice di no: la bellezza, anche se fa male, va compresa. E io, che potrò andare all’università, troverò un giorno il modo per andare oltre.

Intanto scarabocchio nuovi difensori per le fortezze di Saul nelle pagine dell’artista fiammingo e, a 17 anni, scopro l’“apocatastasi” del teologo Origene, la non-eternità dell’inferno, per risolvere a lieto fine i drammi dell’altro pittore nato a Milano.

Oggi cerco di guardare con distacco questi due antichi amori violenti, tentando ancora una volta una soluzione, senza biro, senza alcun tipo di consolazione. Restano pagine, quadri: la nostra civiltà, che è un sogno ad angolo retto.

Luca Traini


LEONI E ALTRI UMANI Opere di Samuele Arcangioli

LEONI E ALTRI UMANI Opere di Samuele Arcangioli

Banca Generali Private  Como | organizzazione Musea 

A cura di Debora Ferrari e Luca Traini

Fino al 6 febbraio 2022 è visitabile l’esposizione nella sede di Via Lungo Lario Trento 9

Si apre  un nuovo evento per la città di Como, firmato Musea e Banca Generali Private, in collaborazione con LarioIN.

Dal 16 dicembre fino al 6 febbraio 2022 si può visitare nella prestigiosa sede sul Lago di Como LEONI E ALTRI UMANI, un’affascinante esposizione del pittore varesino Samuele Arcangioli che ha dedicato molte delle sue opere ai grandi felini africani e ai nostri felini domestici, ai ritratti e agli omaggi dei grandi del passato, curata da Debora Ferrari e Luca Traini e con un catalogo pubblicato da TraRari TIPI edizioni in limited edition per l’occasione.

“Arte” ha la stessa radice di “artiglio” e “tecnica”- la “techne” greca - deriva da “tek”, “legno”. Questo il richiamo ancestrale dell’arte di Samuele Arcangioli quando fa emergere dalle tavole i suoi Felini -  e ci si ritrova per magia immersi in quello sguardo. Perché l’essere umano ha iniziato a rappresentare anche ispirato da quei graffi sulla pietra. E l’artista, cresciuto e tornato più volte in Africa, conosce bene quel segno.

In altra parte della sua vasta produzione Arcangioli - uno dei più originali e importanti artisti che abbiamo la fortuna di avere in Italia - si è dedicato ad affrontare la contemporaneità, cimentandosi anche nella Game Art nella mostra NEOLUDICA alla Biennale di Venezia del 2011. Ma nel suo alter ego felino la creazione di Samuele è sempre preistorica. Sarà quindi un graffio elegante e gentile, ma profondo, a farci vedere il mondo con occhi diversi. Grazie a quegli occhi di gatto, leone, pantera. Alle sette vite degli occhi di un artista.

Quattro le sale allestite per oltre 40 opere su tavola realizzate dal 2005 a oggi: Ritratti, Omaggi, Rapaci, Leoni e Felini.


Banca Generali Private - dichiara Guido Stancanelli District Manager testimonia una volta di più la volontà unire alla consolidata esperienza nel campo degli investimenti percorsi originali e fuori dagli schemi tradizionali di fruizione dell’arte, nel segno della migliore tradizione e innovazione italiana. Due leoni s’incontrano: il marchio storico di Generali e la cifra di stile di un artista. Una simbiosi che apparenta due felini anche nel contenuto. Entrambe le immagini rappresentano infatti un animale in pace, un’anima forte ma pacifica. Nel caso di Generali il rimando del logo leonino, fin dalla sua creazione del 1861. Un marchio sottoposto a successivi aggiornamenti e restyling in diversi anniversari - 1881, 1911, 1971, 1991, fino al più recente del 2014 - e rivisitato negli anni in campo pubblicitario da diversi importanti artisti (Achille Beltrame, Marcello Dudovich, Gino Boccasile, giusto per fare qualche nome). Un leone in sintonia quindi con i Leoni di Samuele Arcangioli, anch’essi portatori pacifici e possenti di un messaggio di forza vitale”.

Le visite sono libere in settimana secondo gli orari della sede, l’artista sarà in mostra in due speciali incontri tra gennaio e febbraio, accompagnato da un reading letterario di Luca Traini aventi per tema i pittori del passato e il collezionismo contemporaneo. 

Info, contatti stampa e prenotazioni: culturalbrokers@gmail.com

Obbligo di mascherina e visita secondo normative anti-covid vigenti.

Altre importanti mostre curate da Debora Ferrari e Luca Traini a cui Samuele Arcangioli ha partecipato:


Come la luce: dai Macchiaioli allo Spazialismo (2019)

https://lucatraini.blogspot.com/2019/07/come-la-luce-dai-macchiaioli-allo.html


Nel segno di Lucio Fontana (2016)

https://lucatraini.blogspot.com/p/arte.html

 

Neoludica _ Art is a Game (Biennale Venezia, 2011)

https://lucatraini.blogspot.com/p/neoludica-game-art-gallery.html



 WATERFALL OF TIME
YOSHIN OGATA SCULPTURES

Una nuova mostra a cura di Debora Ferrari e Luca Traini, un nuovo catalogo TraRari TIPI, col mecenatismo di Banca Generali Private e in collaborazione coi Musei Civici di Varese, patrocinio Comune di Varese

INAUGURAZIONE domenica 11 luglio ore 11.30, con la presenza dell’artista,uno dei grandi della scultura in campo internazionale

SALA VERATTI, VARESE, DALL’11.7 ALL’1.8.2021, dal giovedì alla domenica ore 15-18.30 Ingresso libero


In concomitanza con la mostra sul Giappone al Castello di MasnagoMusea TraRari TIPI porta a Varese uno dei più importanti scultori nipponici di fama  internazionale.

Foto di D. Barraco

Yoshin Ogata nasce a Miyakonojo in Giappone nel 1948. Espone le sue prime sculture nel 1969 a Tokyo e nel 1970 si trasferisce a Londra. Quindi viaggia in Europa, poi negli Stati Uniti e in Messico, dove svolge le sue ricerche nei musei locali. Vive tra Wakayama e il Golfo dei Poeti a La Spezia ed è uno dei più rinomati scultori giapponesi. Numerosissime le sue mostre e le opere pubbliche in tutto il mondo. 

Le sue sculture sono da sempre caratterizzate dall’elaborazione dell’elemento ambientale, sia nel segno che nella materia, pietra, legno, metallo, spesso sul tema dell’acqua, della goccia come impronta e soggetto.

In Sala Veratti, da luglio ad agosto, con il sostegno di Banca Generali Private insieme a la collaborazione di Liguria Vintage Design e LarioIn, sono esposte sculture, fotografie dei monumenti realizzati nel mondo e bozzetti. Catalogo Trarari TIPI in mostra. Sarà presente lo scultore Yoshin Ogata per incontrare il pubblico nella sede espositiva.

“Banca Generali è orgogliosa di sostenere la mostra di Yoshin Ogata, un artista completo, dall’animo internazionale e con una visione aperta sul mondo. La personale ospitata dal Comune di Varese è un’iniziativa importante di cui, mai come in questo momento, sentivamo il bisogno. Abbiamo patito tutti la mancanza dell’arte e della cultura vissuta dal vivo. Finalmente siamo tornati” dicono Daniela Parravano della filiale varesina BGP e Guido Stancanelli district manager di Banca Generali e presidente di LarioIn, associazione culturale che da più di un decennio opera sul territorio.

“Può stupire che uno scultore decida di incentrare il proprio lavoro nel marmo, nei graniti e travertini, nel bronzo, su ciò che per antonomasia una forma non ha se non quella di ciò che la racchiude: l’acqua -scrive Debora FerrariEppure Yoshin Ogata, dalla seconda metà del secolo trascorso a oggi, dedica la sua attenzione non al suo incessante scorrere eracliteo, ma all’attimo dinamico che ce la racconta. E’ un divenire diverso quello che cogliamo nell’istantanea scolpita nei sedimenti minerali della terra, un fermo-immagine solido, compiuto, universale: la trasmutazione che avviene nella materia grazie al pensiero del suo autore”. E prosegue Luca Traini “Nel segno della pietra, che unisce simbolicamente cielo e terra (e rispettive acque). Dai vulcani del Sol Levante alle Alpi Apuane, a quei marmi di Carrara in cui ha saputo fondere il lavoro della nostra tradizione con la concezione vitalistica della natura della cosmologia nipponica, dove non esiste una netta demarcazione fra oggetti e creature viventi”.

L’esposizione in Sala Veratti ospita una ventina di sculture tra il 1970 e i nostri giorni, pannelli fotografici con le opere monumentali dello scultore nipponico, informazioni sull’artista e un percorso guidato di visita insieme all’antropologo Armando Montoya, con la direzione artistica e organizzativa di Musea TraRari TIPI, la piccola casa editrice varesina che ha curato e pubblicato anche il catalogo per questo evento internazionale.

L'ospitalità dello scultore è stata curata da Capolago Hotel, che ha anche allestito un'area dedicata nella reception.



Info: culturalbrokers@gmail.com

Fb:  Trararitipi_eventi e libri intorno all’arte

Twitter @trararitipi

www.yoshinogata.com

Vedi anche

lucatraini.blogspot.com/2021/07/waterfall-of-time-yoshin-ogata.html




NICOLA PERUCCA, Città librerie e altre storie

Una nuova mostra a cura di Debora Ferrari, un nuovo catalogo TraRari TIPI

Atelier Capricorno, Cocquio Trevisago (VA), fino al 25 luglio, nell’ambito dell’evento ComicSponde

Teamwork con l’autore Domenica 25/7 ore 16

“In Città Librerie e altre storie Nicola Perucca, esprimendo anche il suo amore letterario, ci prende per mano nella sua tecnica fluida e ci trasforma nel pubblico di lettori-pellegrini-viandanti, i libri diventano architetture su cui poggiare i piedi e rampe di lancio verso infiniti sogni, ma densi di materia e di possibilità non solo creative ma tangibili. Il Cosmo dipinto è multidimensionale e percepiamo la differenza dei protagonisti umani o di carta nella loro singolarità, in un dinamismo quasi futurista del XXI secolo, ancorato alla presenza più che all’assenza evocata comunque, dove astrazione e figurazione si scambiano le parti in un gioco di vuoti e pieni, di profondità e rilievo, com’è nella vita.

‘Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante - pensa Palomar - e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine. Forse è quello il suo segreto: soddisfatto d’essere, riduce il fare al minimo? Non possiamo conoscere nulla d’esterno a noi scavalcando noi stessi’.

Questo e altri misteri ci vengono offerti da Nicola Perucca”.

Debora Ferrari (tratto dal catalogo edito da TraRari TIPI)



Introduzione/Emersione

“Borges nella valigia di Cesare Cosmico, il connesso viaggiatore nell’atto di estrarre un volume dalla Biblioteca, oceanica, del Mare. L’altra Biblioteca, quella di Babele, espressa o sottintesa, affiora da acquarelli, si spande per inchiostri, si dispone in acrilici per distendersi su carte indiane o cartone telato. Architetture di libri perché il libro è architettura e pietra angolare della nostra civiltà (un grande sogno ad angolo retto).

Città Librerie dove perdersi e ritrovarsi perché metropoli unica dove misura, cifra è smarrimento e stupore, preludio alla costruzione del nostro cosmo interiore, prologo alla visione, alla realizzazione di nuovi mondi più umani, superiori al 5% di noi stessi delegato al quotidiano.

Apparire piccoli e fantasmi nell’atto di contemplare, magari persi in un vortice, che sale, è una salutare presa di coscienza. Diventiamo voce del verbo “essere” nella Città Libreria delle Luci come in quella di Levante - Nicola vive e lavora a La Spezia - nel Cuore di ogni sua Biblioteca (le stele nere e blu come lo spazio profondo), custodi del suo Nucleo sempre luminoso”.

Luca Traini


... e altre storie



IL DIRITTO E IL ROVESCIO DELL'ARTE
Come una premessa


Esce il volume di Tiziana Zanetti, studiosa di  Diritto dell’Arte e di Beni Culturali con collaborazioni editoriali prestigiose alle spalle. Un libro dove le questioni giuridiche sono rese chiare e piacevoli da un tono narrativo puntuale, scientifico e sagace.

Una nuova pubblicazione TraRari TIPI (la casa editrice fondata da Debora Ferrari e dal sottoscritto), Collana Lucernaria, 124 pagine, carta Fedrigoni, brossura, 2020, € 18,00. Sui maggiori store online e nelle librerie che sostengono l’editoria locale e artistica.

L’arte è molto più di quel che vediamo.  Oltre al soggetto, alla tecnica, alla composizione, al colore… c’è un’altra dimensione, a volte registrata sul retro dell’opera (più facile immaginare la questione per un dipinto) che testimonia la sua vita, la sua provenienza ovvero le vicende che, suo malgrado, ha vissuto. Ma il titolo vuol riferirsi anche al diritto dell’arte e del patrimonio culturale, “materia” che viene raccontata attraverso la vita quotidiana, nella sua normalità e nei suoi momenti eccezionali, e al rovescio, il diritto penale, chiamato ad intervenire in caso di furto, ricettazione, contraffazione, esportazione illecita, danneggiamento.

La forma del nostro Paese è il risultato “stratigrafico” dei suoi beni di interesse culturale, dei suoi paesaggi, dei loro significati e valori, degli uomini che li hanno compresi, rinnovati (o umiliati) nel tempo, ma anche delle “regole” che si sono dati per difenderli: una tradizione che, nell’attraversamento dei secoli e dei luoghi, parla di bellezza, civiltà, responsabilità (ma anche di sgomento e impotenza di fronte alla barbarie). Una memoria viva che ha plasmato il carattere degli italiani, e prima ancora il loro sguardo, che a volte sembra essersi abituato a tanta ricchezza da darla per scontata.

Conoscere le regole della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale può servire a ridestare l’attenzione, a non abbassare mai la guardia. La loro finalità più alta è quella di difendere, vivificare e restituire agli individui un bene che è fonte, tra l’altro, di una joie de vivre intensa e benefica che diventa, per il viaggiatore forestiero attento e curioso che attraversi il nostro Paese, uno dei più cari e introvabili souvenir d’Italie.

Si prova a disegnare una cornice, in forma di dialogo interdisciplinare (in uno spazio privilegiato intitolato “Specialmente”) e di esperienza del tutto personale, nella quale collocare alcune questioni, sempre attuali perché senza risposte ultime e definitive, che sfidano il nostro sguardo e dalle quali dipende il nostro modo di vedere, di percepire e di rapportarci con gli altri e con le “cose” che ci circondano.

Si arriva a stabilire che non solo l’arte è molto più di quel che vediamo ma quel che vediamo, tanto più in un Paese come l’Italia, dipende da quel che siamo o scegliamo di essere ogni giorno, come singoli e come comunità. In questa scelta rientrano anche la volontà e l’impegno nel voler conoscere non solo il diritto ma anche il rovescio (ed evidentemente non ci si riferisce solo a quello dell’arte).

Il libro appena uscito avrebbe dovuto essere presentato in un museo civico con un evento di musica e parole, purtroppo rinviato a causa delle restrizioni per l’emergenza sanitaria. Verrà organizzato a breve un incontro online con l’autrice e la casa editrice per poter tener vivo il rapporto col lettore che TraRari TIPI ha sempre coltivato con presentazioni, mostre, concerti e simposi artistici.

Sarà comunicata la data sulla pagina Facebook www.facebook.com/groups/trararitipi/

Tiziana Zanetti, studiosa del diritto dell’arte e dei beni culturali, vive sul Lago di Gavirate. Ricercatrice dell’Istituto di Antropologia per la Cultura della Famiglia e della Persona di Milano; Responsabile scientifico di progetti di studio e documentazione relativi ai beni culturali (immateriali specialmente); si occupa di educazione e formazione in materia di tutela (penale) del patrimonio storico-artistico. Ha scritto per Gazzetta Ambiente, Il Giornale dell’Arte, Hestetika. Curatrice e co-autrice dei volumi, editi da San Paolo, Arte e legalità. Per un’educazione civica al patrimonio culturale, 2018; Il Bello e il Giusto. Sulla tutela del patrimonio culturale e la sua fragilità, 2019 e L’Arte e il Mistero. Sui beni culturali di interesse religioso 2020, scritti con magistrati, avvocati e antropologi.

Per contatti, immagini e libro da recensire per la stampa: culturalbrokers@gmail.com


UN POMERIGGIO NELL’ARTE

Presentazione del libro al Museo Bodini di Gemonio (VA) 30 Maggio 2021

In compagnia dei capolavori di Floriano Bodini, uno dei nostri grandi scultori del ‘900, nel museo che ha voluto nella sua Gemonio (VA). In armonia con la forza, la tensione spirituale e la dimensione epica delle sue opere quanto sottolinea con lucida passione l’autrice in un testo di particolare importanza per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale: “L’arte è molto più di quel che vediamo ma quel che vediamo, tanto più in un Paese come l’Italia, dipende da quel che siamo o scegliamo di essere ogni giorno, come singoli e come comunità”.

In contemporanea la mostra di Mino Ceretti, (inaugurata il 9 maggio e visitabile fino al 13 giugno) un altro dei protagonisti del Realismo Esistenziale, renderà ancora più pregnante il discorso su vecchi e nuovi linguaggi con cui comprendere – e quindi tutelare – l’opera d’arte. Argomento che vedrà anche i preziosi contributi del giurista e docente universitario Leonardo Salvemini e del giudice penale Annalisa Palomba.

Con le ambientazioni sonore della fisarmonica di Saro Calandi, musicista di caratura internazionale, e del didjeridoo di Stefano Ravotti, polistrumentista e musicoterapeuta, perché l’arte è tradizione e ancestrale che guarda sempre al futuro.

Domenica 30 maggio al Museo tra arte, musica e libri.
L’arte dipende da quel che siamo o che scegliamo di essere ogni giorno

30.5.2021 DALLE ORE 15.30 ALLE ORE 18, inviti su prenotazione, posti seduti

Organizzazione: Musea Trarari TIPI

con il sostegno di SIFFRA Farmaceutici-Varese


IL DIRITTO E IL ROVESCIO DELL’ARTE

Fondazione Sangregorio 18.9.2021 ore 17

Un nuovo incontro dedicato all’Arte alla FondazioneGiancarlo Sangregorio di Sesto Calende. Sabato 18 settembre il pubblico potrà dialogare con una studiosa varesina molto particolare, l’autrice del libro Tiziana Zanetti, gli editori Debora Ferrari e Luca Traini e la prof.ssa Stefania Barile del Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti (con cui sia la scrittrice che gli editori hanno collaborato in diversi progetti sulla cultura della legalità e sul civic engagement).

Oltre alla Fondazione dedicata al grande scultore, organizzatrice insieme a Musea TraRari TIPI, l’evento gode del patrocinio dell’INDAC (Istituto Nazionale per il Diritto dell’Arte e dei Beni Culturali), che ha fra i suoi scopi principali la tutela e la valorizzazione del nostro prezioso e delicato patrimonio culturale. Un patrocinio importante, perfettamente coerente con la prospettiva culturale e giuridica del volume e delle riflessioni che verranno proposte durante l’incontro.

La riflessione sul patrimonio culturale deve necessariamente tener conto anche della dimensione internazionale e di quei traguardi fondamentali per il benessere previsti in “Agenda 2030”, come si legge nella Premessa del volume, col contributo prezioso ed autorevole di Leonardo Salvemini, giurista ambientale, avvocato e docente universitario.

Il diritto e il rovescio dell'arte. Come una premessa di Tiziana Zanetti, studiosa di Diritto dell’Arte e del Patrimonio culturale con collaborazioni editoriali prestigiose alle spalle. Un libro nel quale le questioni giuridiche sono rese chiare e piacevoli da un tono narrativo puntuale, scientifico e sagace.

Il libro sarà disponibile alla presentazione anche per il firmacopie dell’autrice.

Nella fotocomposizione: Tiziana Zanetti, Debora Ferrari e Luca Traini, il catalogo delle opere di Sangregorio curato da Marco Rosci e Debora Ferrari, Stefania Barile e lo scultore Giancarlo Sangregorio ritratto da Roberto Molinari.



GUTTUSO RITROVATO

Commento musicale J. S. Bach, Passacaglia e fuga in Do minore BWV 582

L'ostrica di Verga, l'uomo attaccato allo scoglio della miseria e degli affetti,
soffre come e quanto l'uomo in fuga, l'uomo in rivolta di Guttuso.
Il sistema della sofferenza, il sistema della passione
Leonardo Sciascia



GUTTUSO RITROVATO
Inaugurazione e svelamento dell’opera Venerdì 29 Novembre alle ore 17.30,
Banca Generali Private, Varese
Mostra a cura di Debora Ferrari e Luca Traini dal 29/11/2019 al 31/1/2020

L'esposizione è prorogata fino al 31 Gennaio

Particolare dell'opera

Dipingo per me, prima di tutto, ma con la precisa coscienza che io sono come gli altri, sono anch’io uno del pubblico.
Quindi, esplorare il mio petto, come diceva Leopardi, significa esplorare il petto di tanti altri, della gente, dell’umanità.
Renato Guttuso

Proseguendo l’operazione iniziata in estate con la mostra Come la luce, dove i curatori hanno riportato alla luce opere importanti da collezioni private, verrà presentato alla cittadinanza un capolavoro di Renato Guttuso custodito in collezione privata da lungo tempo: Naufragio (1950).
L'opera in ceramica di grandi dimensioni, di particolare originalità e pregnante forza evocativa, resterà in visione fino al 19 gennaio, mentre prosegue anche la grande mostra Guttuso a Varese nei Musei Civici di Villa Mirabello.
L’ esposizione in Banca Generali Private (Piazzetta San Lorenzo, accanto alla Basilica di San Vittore, in pieno centro storico), in collaborazione col Comune di Varese, è accompagnata da una plaquette con interventi dei curatori, di Serena Contini, curatrice della mostra a Villa Mirabello, e di Guido Stancanelli, District Manager, e Daniela Parravano di Banca Generali Private Varese.

La nuova plaquette TraRari TIPI

Siamo felici di sostenere e ospitare presso la nostra sede una presentazione così eccezionalmente unica. Siamo convinti che il nostro sostegno ai risparmiatori del territorio debba andare oltre la tradizionale sfera degli investimenti e per questo motivo vogliamo coinvolgere i nostri clienti e tutti gli appassionati di beni culturali in percorsi originali e fuori dagli schemi tradizionali di fruizione dell’arte dichiara Guido Stancanelli, District Manager di Banca Generali Private a Varese, Como e Legnano.

Questo aspetto dei patrimoni privati di beni artistici è molto importante -aggiunge Daniela Parravano di Banca Generali Private di Varese- perché nel diritto dell’arte anche una proprietà privata contiene un senso civico pubblico e parlando di investimenti, l’arte e la cultura sono sempre importanti per la crescita di una società.


L’opera, inserita già nel catalogo generale di Crispolti vol. 4,
sarà svelata al pubblico solo in occasione del vernissage del 29 novembre.

Per Guttuso Varese, durante più di un trentennio, fu luogo di affetti e di incontri. Qui coltivò rapporti amicali e professionali con uomini di cultura che nella città prealpina vivevano o trascorrevano, come lui, periodi di villeggiatura. Serena Contini

È sempre interessante ricostruire i percorsi di un’opera d’arte, soprattutto quando da una vita pubblica passa a vita privata e viceversa, perché nel suo iter ripercorriamo i gusti e i tratti del collezionismo e del mercato dell’arte, tanto quanto l’importanza culturale del significato nella società di ieri e di oggi. Debora Ferrari

Una costante dell’arte di Renato Guttuso dalla prima giovinezza agli ultimi anni è la partecipazione ai diversi aspetti della sofferenza umana e alle forme di rivolta e di solidarietà che ne conseguono. Nel contesto di una natura, continuamente indagata ed evocata in profondo, che non è mai indifferente, anzi, in profonda simbiosi col sentire dell’artista. Luca Traini


COME LA LUCE _ DAI MACCHIAIOLI ALLO SPAZIALISMO

Una nuova mostra curata da Debora Ferrari e Luca Traini, un nuovo libro TraRari TIPI



COME LA LUCE
Dai Macchiaioli allo Spazialismo_collezionando a Varese

Ideazione e cura di Debora Ferrari e Luca Traini

Castello di Masnago, Via Cola di Rienzo, Varese

Banca Generali Private, Piazzetta San Lorenzo, Varese

Cesare MaggiMonte Rosa: Punta Dufour

Una mostra e un libro nascono dalla catalogazione di due anni con collezioni private varesine da parte dei curatori. Le opere coprono un periodo tra XIX e XX secolo e tra queste il trait d’union è l’evoluzione della materia ‘luce’ nelle opere pittoriche e il gusto borghese per la piccola scultura a cavallo fra Otto e Novecento, senza dimenticare eleganti suppellettili quotidiane come servizi di porcellana e vasi a firma di noti artisti e designer di un secolo fa. Ciò che il pubblico può raccogliere è uno spaccato di senso privato del possedere la bellezza. Ma il pregio di questa operazione resa pubblica, grazie all’appassionata condiscendenza dei proprietari delle opere, è il poter riconsegnare alla storia dell’arte opere occultate ai più per oltre cinquant’anni perché parti della vita di casa dei collezionisti, pezzi pregevoli e unici, pezzi rari e opere attribuite da riconfermare, tutte facenti parte del processo del collezionare che oggi assume regole e leggi nuove nel diritto dell’arte e nel senso civico di appartenenza alla nostra società contemporanea.

Achille FuniCleopatra

Ne escono scoperte e riscoperte, riflessioni nuove innestate sulle antiche dove si era fermato il tempo, possibilità per addetti ai lavori e non di accedere a un patrimonio personale, qui condiviso grazie anche all’amministrazione del Comune di Varese e alla sinergia di enti e partner, Banca Generali Private in primis che da sempre ha tra le sue mission quella della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale.

Giorgio de ChiricoCavallo orientale sulla spiaggia

Fattori, Lega, De Nittis, Boldini, Zandomeneghi, Albertini, Tommasi, Miti Zanetti, Maggi, Pellini, Sironi, Funi, Lilloni, Spilimbergo, Ligabue, Casarotti, Pellini, De Chirico, Crippa, Melotti, Fontana, sono alcuni dei nomi importanti presenti, che si completano con la presenza e le opere di tre artisti contemporanei quali Samuele Arcangoli, Vittorio D’Ambros, Stella Ranza, e di due fotografi d’arte come Roberto Molinari e Raffaella Grandi.

Roberto CrippaSole rosso

La mostra è corredata dal catalogo edito da TraRari TIPI con interessanti testi e contributi di Debora Ferrari, Luca Traini, Stefania Barile, Tiziana Zanetti.


Banca Generali si presenta nella sua nuova ‘casa’ varesina nel capoluogo e per due mesi, il periodo della mostra al Castello di Masnago, ospita per chi vorrà visitarla, non solo i clienti, quadri, sculture e fotografie legate alla mostra, come una vetrina nel cuore della città per invitare a passare al Castello.

Ludovico TommasiPini all'Ardenza

Durante la conferenza stampa nella sede, il 13 luglio alle 11.30, alla presenza del District Manager di Banca Generali Private Guido Stancanelli, del Direttore dei Musei Civici Daniele Cassinelli e del Sindaco Davide Galimberti, i curatori e gli artisti spiegheranno la mostra e gli eventi che animeranno le sale del Castello fino a settembre.

Lucio FontanaNudo femminile allo specchio

Tra i partner di progetto anche Atelier Pellini di Milano e Casa Fontana a Comabbio che aprirà su prenotazione al pubblico appositamente per il progetto il 7 settembre, data di ricorrenza della morte di Fontana avvenuta nel 1968.

Eugenio PelliniIl minatore

La mostra è organizzata da E-Ludo Lab con Musea Trarari TIPI e ha il patrocinio del Comune di Varese e dei Musei Civici Varesini.
Tra i partner che collaborano al progetto segnaliamo anche:
SIFFRA Farmaceutici, JOY CYCLINSIDE, FLAI GRAPHIC DESIGN, LOGANDSHIP Varese.

Foto (tranne quelle nel manifesto, il catalogo e il disegno di Fontana) di Guido Paolo Rubino.



APPUNTI DI VIAGGIO



FINISSAGE Conferenza Collezionismo, mecenatismo e diritto dell'arte


“Collezionare arte è un’operazione complessa e affascinante sotto il profilo culturale, intellettuale, sociale e non meno giuridico: il bene in questione non è un bene qualunque pertanto le regole che lo disciplinano sono peculiari e specifiche in un delicato equilibrio tra pubblico e privato”.
Così scrive Tiziana Zanetti, esperta in diritto del patrimonio culturale, che sarà relatrice con i curatori Debora Ferrari e Luca Traini, la critica d’arte Stefania Barile e Stefano Vittorini, che cura le eredità culturali dello scrittore Elio Vittorini e degli scultori Eros ed Eugenio Pellini, in particolare l’atelier in Milano di questi ultimi, che data più di un secolo.
A Varese, Castello di Masnago, domenica 8 settembre ore 15.
In foto: immagini della mostra (al centro l’inaugurazione col sindaco Galimberti), tre quadri esposti (Monte Rosa di Maggi, Cleopatra di Funi, Cavallo orientale di De Chirico), tre libri curati dai relatori (Arte e legalità, San Paolo Edizioni, da Tiziana Zanetti; Come la luce, TraRari TIPI, da Debora Ferrari e Luca Traini; Mutazioni:da De Chirico a De Maria, Mazzotta, da Debora Ferrari e Stefania Barile).


APERTURA STRAORDINARIA DELLA CASA DI LUCIO FONTANA A COMABBIO
SABATO 7 SETTEMBRE

Rimasta intatta come 50 anni fa, come se l’artista fosse appena uscito e stesse per rientrare dopo un hashtagviaggio nello spazio. Un hashtagevento straordinario quello di hashtagsabato 7 hashtagsettembre: la Casa-Atelier di Lucio Fontana di hashtagComabbio (hashtagVA) viene aperta dai nipoti per permettere al pubblico della hashtagmostra COME LA LUCE di visitare in modo privato una dimora mantenuta con il rispetto e il carattere di chi l’aveva voluta così, Lucio con la moglie Teresita. Durante la visita che sarà possibile a poche persone per volta -una decina (alle 16 e alle 17)- Luca Traini farà dei momenti di hashtagreading letterario e poetico con testi di e su Fontana; Debora Ferrari, coi nipoti Matteo e Marta Vailati, guiderà i racconti dentro le stanze finemente arredate da mobili di hashtagdesign e da armadi e dispense disegnate e fatte realizzare dallo stesso Fontana. Lucio Fontana e lo hashtagSpazialismo hanno generato movimenti e correnti che dopo la sua morte hanno continuato la riflessione su hashtagspazio-tempo-hashtag - hashtagmateria per alcuni decenni con grandi nomi. Per prenotarsi scrivere a


I Contemporanei: le tavole di Samuele Arcangioli, gli acciai ossidati di Vittorio D’Ambros,
le ceramiche di Stella Ranza nel Segno di Lucio Fontana


Se Fontana non fece in tempo ad assistere al primo allunaggio, Samuele Arcangioli, Vittorio D’Ambros e Stella Ranza (il cui nonno, Riccardo Crippa, industriale fondatore di Caffè Hag e pittore, fu proprio il mecenate del rinnovamento estetico di Lucio) hanno vissuto l’epoca delle stazioni spaziali e vivono il trionfo dell’immaterialità nell’era di internet – nel caso di Arcangioli, poi, si dedicano anche alla nuova arte ispirata ai videogame, la Game Art di Neoludica – e in questo nuovo contesto hanno affrontato con grande originalità, ognuno col proprio bagaglio di strumenti e forme, l’esperienza imprescindibile del fondatore dello Spazialismo. La radiazione di fondo di un grande artista non è gelida, mantiene costante il suo calore dando il giusto grado di cottura alle ceramiche di Stella, l’opportuna misura del fuoco per le saldature dei metalli di Vittorio, il tepore per le radici e l’incandescenza per le tavole di Samuele.



Parigi, la hashtagSeine, hashtagVersailles: i hashtagMacchiaioli a colloquio con l’ hashtagImpressionismo (De Nittis e Boldini)

Commento musicale: Germaine Tailleferre, Concertino per arpa e orchestra Come per hashtagVenezia, il filo conduttore è liquido e gioca col cielo – la pioggia nel passaggio cinematografico dallo studio per Place des Pyramides alla Donna con ombrello di Giuseppe De Nittis – e col rigoglio floreale della statua immersa nel hashtaggiardino di Versailles e le acque della Senna solcate dai canottieri dei hashtagpaesaggi di Giovanni Boldini, futuro astro della Belle hashtagÉpoque. “Une œuvre d'art est un coin de la création vu à travers un tempérament”(Émile Zola). Nuovo abito morale, nuova moda dai colori sobri (soprattutto maschile) e un persistente baricentro per i protagonisti dell’arte della prima Età Contemporanea, Parigi, fino alla seconda guerra mondiale. E la Ville Lumière resta un obiettivo privilegiato per gli artisti di uno Stato Italiano sentito allo stesso tempo troppo giovane ma anche troppo gravato da una grande - e pesante - eredità del passato.



Venezia: Interni, Riflessi, Notturni

La visita di Zandomeneghi apre al passaggio dallo stato solido a quello liquido della Laguna di Guglielmo Ciardi: presenze umane emergono dalla simbiosi di hashtagacqua e hashtagcielo. In cerca di un approdo: l’ombra o il sole in un angolo del Mercato di Rubens Santoro. Per tornare al grande connubio Notturno degli elementi – la hashtagluce ha un’origine oscura – nella tela di Miti Zanetti. Una hashtagVenezia che rinasce, riaffiora lentamente insieme al giovane Stato italiano, dopo l’eroico sussulto risorgimentale, e, a cavallo fra ‘800 e ‘900, torna protagonista nel campo dell’arte. Grazie alla hashtagBiennale, nata da una delibera comunale del 1893 fortemente voluta dal sindaco progressista e hashtagpoeta Riccardo Selvatico: “E mi sul molo pensieroso intanto che vado tormentandome a dar viva tuta la hashtagpoesia de quel’incanto”.


I Macchiaioli e il ritorno alla natura

Commento musicale: Alfredo Catalani, Contemplazione Vedere con occhi nuovi la luce qui e ora, mentre dà vita alle forme come simbiosi di macchie di colore e chiaroscuri, è una ricerca del vero e quindi una riflessione sulla hashtagstoria. Sui nuovi protagonisti,borghesi e proletari (in particolare contadini) fermati nell’attimo del loro rapporto con l’oggettiva presenza nella hashtagnatura. Lavoro, riflessione e contemplazione come espressione dell’intensità delle relazioni umane al loro interno e nella loro interiorità così come – e questo è il retaggio romantico – della loro assenza nell’evocazione dei fenomeni naturali. La Carovana di Telemaco Signorini è un inno alla forza del hashtaglavoro come la grazia delle Contadine di Angiolo Tommasi. Il Paesaggio autunnale dello stesso Signorini trapassa nell’estate dei Pini all’Ardenza di Ludovico Tommasi e dalle ombre degli stessi prende forma La donna che legge di Silvestro Lega. Riflessione assorta, allusiva, presente e allo stesso tempo assente come il Paesaggio fluviale e la Marina di Fattori.



NEL SEGNO DI LUCIO FONTANA



Disegni e ceramiche tra Varese, Albissola e Comabbio
con i disegni di Lucio Fontana dalla Collezione Crippa
e gli artisti
Samuele Arcangioli Vittorio D’Ambros Stella Ranza Angelo Zilio
Fotografie di Roberto Molinari
A cura di Debora Ferrari, Luca Traini, Paola Grappiolo,


Apertura straordinaria Casa Fontana 22 luglio dalle 17 alle 19.30,
visita e reading previa prenotazione a culturalbrokers@gmail.com

http://viaggionelsegnodifontana.blogspot.it/2016/07/22-luglio-2016-apre-per-un-giorno-la.html

"Questo segno prende vita attraverso la luce e la carta, la macchina analogica fotografica con la pellicola del secolo scorso e la foto digitale di oggi, nelle testimonianze artistiche dei fotografi Gian Barbieri e Roberto Molinari, quest’ultimo pervaso dalla sua ispirazione e dal modo di insegnarci a vedere il mondo con tanta delicatezza da rendere icona anche il taglierino, i colori, i punteruoli, le ciabatte, la vestaglia, il giubbotto, il cappello di Fontana, oggi, in casa sua a Comabbio, come se il grande genio fosse di là, nell’altra stanza, proprio dove stava seduto quando lo fotografava l’amico Gian nel 1966-68."


Un evento straordinario quello di venerdì 22 luglio: la Casa-Atelier di Lucio Fontana di Comabbio viene aperta dai nipoti Esposto-Vailati per permettere al pubblico del progetto Nel segno di Fontana di visitare in modo privato una dimora mantenuta con il rispetto e il carattere di chi l’aveva voluta così, Lucio con la moglie Teresita.
Durante la visita che sarà possibile a poche persone per volta –una decina- gli artisti Samuele Arcangioli, vittorio D’Ambros, Stella Ranza, Angelo Zilio staranno in giardino a disegnare e dialogare col pubblico, Luca Traini farà dei momenti di reading letterario e poetico con testi di Fontana e poesie di Crippa, Debora Ferrari insieme ai nipoti Anna, Matteo e Marta Vailati, guiderà i racconti dentro le stanze finemente arredate da mobili di design e da armadi e dispense disegnate e fatte realizzare dallo stesso Fontana.


L’arte di Lucio Fontana, così come quella di altri grandi esposti in mostra comeFausto Melotti, Renato Birolli, Ernesto N. Rogers, non sarebbe potuta essere come la conosciamo senza la figura di amici-mecenati come sono stati Riccardo Crippa a Varese e Tullio d’Albisola ad Albissola Marina.


"Prima di partire per lo spazio
Prima di partire per la luna
Come artista
Come uomo
Fontana venne nella nostra provincia
Elaborando carte percorsi mappe dell’anima
Nella casa di un amico: Riccardo  Crippa.

Per arrivare da Comabbio a Varese devi attraversare i paesaggi dipinti da Crippa, è il contesto del suo salotto – leggi “simposio”, leggi “anima” – dove ti ritroverai nei disegni di Fontana, insieme a Birolli, Melotti, Rogers. Lo spaziotempo è quello che precede i Concetti Spaziali, la sua luce un calore domestico in felice contrasto con le superfici lunari."

Alla Sala Lucio Fontana è presente la parte espositiva con la figura del mecenate, pittore anche lui, Riccardo Crippa (di cui in mostra è presente un ritratto di Achille Funi), che intorno a sé aveva amici destinati a diventare importanti nel corso del secolo e che lui sosteneva in amicizia ed economicamente. Crippa è stato un grande industriale, fondatore col socio Berger di Caffè Hag, e per l’industria sacrificò molta sua ispirazione artistica, testimoniata per altro dalla ricca produzione di oli e disegni, esposti in parte a Comabbio.


curatori Debora Ferrari e Luca Traini, hanno curato un libro-catalogo edito da TraRari TIPI che offre spunti inediti sulla lettura dell’arte di Fontana, partendo proprio dall’intimità del segno, dal senso del suo esserci oggi, dall’importanza delle relazioni umane un secolo fa e adesso, all’inizio di questo terzo millennio. Questo era il sogno dello Spazialismo,  perché “l'arte è eterna, non può essere immortale. Morrà come materia (…) ma il gesto è eterno” [dal Primo manifesto dello Spazialismo, 1947].

Il progetto è patrocinato dai Comuni di Albissola Marina e Comabbio, dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Savona, da TuoMuseo; è inserito nel Festival della Maiolica di Albisola Marina.

Comabbio, Sala Fontana: 26.6 >31.7.2016 Opere di Crippa, disegni di Fontana, Birolli, Rogers, sculture di Melotti, fotografie di Molinari.

Albissola, MuDA e Bludiprussia 2.7 >7.8.2016 Disegni di Fontana, fotografie di Molinari e Barbieri; Bludiprussia: disegni di Fontana e opere e ceramiche degli artisti varesini, foto di Molinari.




FONTANA, MELOTTI, LEONCILLO
Fra Terra E Cielo

L’indagine e la ricerca contengono la dinamica di uno spirito e una materia in perenne dialettica fra il concreto e l’incorporeo. Addirittura nei Tagli di Fontana, nei Concetti leggeri di Melotti, nei Supplizi di Leoncillo, concreto e corporeo giungono a urtarsi – proprio come nei riti – e ciò che è concreto perde il suo significato di realtà così come ciò che è incorporeo si manifesta con prepotenza risultando più reale di qualsiasi cosa che possiamo sperimentare coi sensi.
La ceramica, il ferro, il grès, i disegni.
L’uovo, la scala, la colonna.
Elementi naturali e forme. Forme, non segni, quindi presenze che si significano da sé.


L’uovo, microcosmo simbolico in quasi tutte le culture, principio vitale, il germe di tutta la creazione, la materia organica nel suo stato inerte, contenitore dei quattro elementi… ed anche l’uovo alchemico da cui nascono il fiore bianco (l’argento) e il fiore azzurro (il fiore dei saggi). Elemento che richiama la natura, che è Natura.

La scala, il perpetuo movimento ascendente dell’uomo e discendente della divinità, l’accesso alla realtà, all’Assoluto, al Trascendente, andando dall’irreale al reale, dall’oscurità alla luce, dalla morte all’immortalità, il raggiungimento di un nuovo livello ontologico.
Ma anche la scala cromatica, la scala musicale, la forma di ciò che è ritmo, fantasia, volo, spirito.

La colonna, l’asse del mondo, l’asse verticale che allo stesso tempo separa e unisce il Cielo e la Terra, l’Albero della Vita; due colonne – una nera e una bianca – o una colonna divisa in due rappresenta ogni bipolarità, gli dèi androgini e i diòscuri, il Cancello del Cielo.
Richiamo alla classicità, alla religiosità, allo spazio grave e solenne di un mito.

Ecco dunque questi motivi formali essere al centro, nel cuore, della scultura e dell’opera di Fontana, Melotti, Leoncillo, elementi costituiti da una continua tensione umana, a metà fra corporeità assoluta e diafano apparire dell’essere, fra una condizione terrena ed una celeste.
Il pretesto, l’inizio della novità, contenuti negli elementi riscoperti dai tre artisti – l’uovo, la scala, la colonna – ci parlano dei concetti di Spazio, di Vuoto, di Misura. Si presentano con all’interno lo scontro dialettico fra noto-ignoto, fra luce-ombra, fra spazio conosciuto-infinito insondabile.
Questo è il centro del lavoro di questi tre grandi maestri: l’indagine interminabile di nuove realtà, nuove forme, nuove materie e il rapporto con l’infinito.
La ricerca esistenziale di un ‘perché’ dell’arte e di un ‘come’ il più vero possibile.


Tratto da Fra Terra E Cielo - Fontana, Melotti, Leoncillo (Premia Edizioni, 1995),

a cura di Debora Ferrari, con un saggio di Luciano Caramel


REFLEXions - ANDRE VILLERS
Album Villers ou l'imaginaire portatif

ANDRÉ VILLERS, FOTOGRAFO PERSONALE DI PICASSO Un maestro, un amico

In autunno saranno 90 anni dalla nascita, ma voglio ricordarlo in una bellissima giornata di sole, come quando l’ho conosciuto (nel 2007), la stessa luce calda e conviviale delle sue fotografie anche se prediligeva il bianco e nero, colore dei sogni. Dieci dall’ultima mostra che io e Debora Ferrari abbiamo curato a Venezia con l’aiuto di Andrea Ferrari e Simona Zazzi. Prima c’erano state le esposizioni del 2008: Brenta, Varese e soprattutto Aosta, quelle cascate di veli trasparenti all’ Hotel des Etats nella splendida piazza Chanoux, dove i suoi scatti cristallini offrivano l’impareggiabile estetica della quotidianità della grande arte del XX secolo. Picasso su tutti, ma anche Prevert, Cocteau, Cesar, Butor, Simone de Beauvoir, Ionesco, Le Corbusier (qualche nome, ma anch'io e Debora abbiamo avuto l'onore): amici ritratti dalla sua Reflex –REFLEXions avevamo chiamato la mostra – non semplici oggetti di una fotografia. E quella foto di Guttuso a Varese che stampò apposta per noi a Mougins e non l’aveva fatto 40 anni prima per un litigio fra il pittore siciliano e Cesare Peverelli, che gli era più caro. E il nostro catalogo TraRari TIPI, Album Villers, che resta ancora il più completo, perché presenta tutto un filone di ricerca della sua arte indipendente dalle foto più famose. Lui, scomparso quattro anni fa, che fu l’unico cui Picasso permise di condividere la ricerca dell’immagine in quell’ennesimo capolavoro che sono i Diurnes:

“Âme
Sylvestre
Et suave”
“Anima
Silvestre
E soave”.

(Michel Butor)

Luca Traini (2020)


Quell’uomo l’ho visto volare. Poetica del genio

“La stanzatelier è una matassa di storie che gode e subisce un horror vacui dubuffettiano capace di offrire a ogni sguardo un nuovo bandolo, un nuovo punto di vista. Dove Villers crea dentro la capanna dentro il giardino di ulivi e animali dentro la collina di Mougins dentro le Alpi Marittime dentro una Costa Azzurra sotto un cielo infuocato, i punti cardinali sono minimo 6. Puoi trovare Occidente e Oriente oppure provare a perdere l’orientamento in una vertigine continua di forme e colori. Si apre la porta: entra lui, il maestro, volando, lasciato alle spalle il bastone/vincastro di Mosè. Dentro la stanza raduna le immagini prima che sia sera, liberandole una a una sotto il tetto dei pensieri, nella tasca infinita del suo immaginario portatile. […] Potrebbe ancora oggi essere un soggetto perfetto per un quadro di Chagall. Si sposta tra le foto e i cumuli di collages, tra personaggi ritagliati e oggetti sparsi, nella stanza dove tutto ciò che è appeso poggia sull’orizzonte e a terra nascono oasi di immagini, si sposta senza toccare il pavimento – gli anni del sanatorio non avranno nemesi – appoggiandosi all’arte, in ogni punto, come su un ponte tibetano personale. Tra la stanza della capanna in giardino e la camera oscura sta da decenni il suo ‘genius loci’”.

Debora Ferrari, da “Album Villers”




“A.”

Arrivo a Mougins con la “Pesca di notte ad Antibes” di Picasso negli occhi e un “Amore lontano” cantato da Jaufre Rudel. Un calore tutto umano, animale (cioè dotato di anima, quella vera) attende un trovatore cubista a casa di André Villers. La capra di Picasso diventano capre vere, verissimo il golden retriever Phébus che mi accoglie con ogni genere di feste.
Gli occhi di Matthieu, musicista, figlio, dove la malinconia del flauto di Poulenc si sposa a quella sorridente di Mike Hailwood.
Gli occhi di Chantal, moglie e madre anche di pietre dipinte, sottilmente venate.
Gli occhi di André Villers, marito, padre e, sotto molti punti di vista, figlio ai nostri occhi di Pablo, Picasso, e di tutta una schiera di artisti che fanno ancora la gioia dei nostri occhi.
Occhi allevati, allenati dalle mura di un sanatorio dove André restò giovane recluso per i biblici 7 anni. Tu le ritrovi sui muri bianchi esterni/interni della sua casa, ne devi fissare le increspature, le fessure, le rughe come strade che ti guidano alla radice, alle fondamenta delle cose.
Rughe, fessure, linee su carta bianca, siano ombre di steli, ritagli di un découpage o le rughe del volto di un ritratto di Cocteau (“Tant de douceur/ dans notre moelle,/ c’est un masseur/ graissé d’étoiles”, “Tanta dolcezza/ nel nostro midollo/ è un massaggiatore/ unto di stelle”), di Ponge (“La surface du pain est merveilleuse d’abord/ à cause de cette impression quasi panoramique/ qu’elle donne: comme si l’on avait à sa disposition sous la main les Alpes,/ le Taurus ou la Cordillère des Andes”,  “La superficie del pane è meravigliosa in primo luogo/ per questa impressione panoramica/ che dà: come se si avesse a disposizione sottomano le Alpi,/ il Tauro o la Cordigliera delle Ande”), di Prévert (“Et quand tous deux nous gravissions/ de l’escalier de la maison/ tous les degrés/ sur les murs avec ton gravoir/ tu gravais ma gravelure”, “E quando tutti e due salivamo/ della scala di casa/ tutti i gradini/ sui muri con la tua gradina/ incidevi i miei sottintesi”).
Quando più superfici vogliono dire profondità.
Quando la luce di una foto è accesa dall’amicizia, dalla familiarità.
Questo il segno distintivo e il senso delle foto di Villers: quando lui ti dice che fotografa col ventre un soggetto che finalmente guarda se stesso e trova il senso dell’esserci e restare qui fra noi mai a metà strada fra la macchina che riprende e quello che non c’è più.
L’uomo è qui, nella foto, come la bottiglia che porta il messaggio di una foglia, di una piuma, la carta bagnata che si piega e dà vita alle sue ombre.
La tela dove Hartung si piega nello sforzo di passare un rullo.
Gli spaghetti che ondeggiano sul cantatore calvo Ionesco.
La saliva di Villers che dovrà restare anche nel negativo di un “pliage d’ombres”.
La garza stesa sulle parole che, in altre luci, in altre foto di André finiranno per comporre il volto dell’autore di tanti altri versi scritti sulle sue foto, il volto che si sfrangia di Butor: “Ame/ sylvestre/ et suave”, “Anima/ silvestre/ e soave”.
La scrittura anche sul volto di Chantal che emerge dal nero che è un colore (Maeght dixit) – e il ritratto di Aragon:
“Mon coeur
            que lui dirons-nous quand nous la verrons
                        Compte les fleurs ma chère
                        compte les fleurs du mur »
« Cuore mio
            che le diremo quando la vedremo
                        Conta i fiori mia cara
                        Conta i fiori del muro”.


"A."

J’arrive à Mougins avec la “Pêche nocturne à Antibes »de Picasso  dans les yeux et « un amour lointain » chanté par Jaufre Rudel dans mes oreilles.
Une chaleur toute humaine, animale –c’est-à-dire possédant une âme, une chaleur vraie- c’est ce qui attend un trouveur cubiste chez André Villers. La chèvre de Picasso se transforme en de vraies chèvres. Plus que vrai le golden retriver Phébus qui m’accueille en frétillant de joie.
Et puis il y a les yeux de Matthieu, le fils, un musicien où la mélancolie de la flûte de Poulenc se marie à celle souriante de Mike Hailwood.
Et les yeux de Chantal, femme et mère, mère aussi de pierres peintes, légèrement veinées.
Les yeux d’André Villers, mari, père et, de plusieurs points de vue, fils, à nos yeux de Pablo Picasso et de toute une lignée d’artistes qui font le joie de nos yeux.
Des yeux élevés, entraînés par les murs du sanatorium où André demeura jeune reclus pendant la période biblique de sept ans. Tu les retrouve sur les murs blancs intérieurs/extérieurs de sa maison. Tu dois en fixer les fronces, les fissures, les rides telles des routes qui te conduisent aux racines, aux fondements des choses.
Des rides, des fissures, des lignes sur papier blanc, que ce soit des ombres de tiges, des coupures d’un découpage ou des rides du visage du portrait de Cocteau (« Tant de douceur/ dans notre moelle,/ c’est un masseur/ graissé d’étoiles »), di Ponge (« La surface du pain est merveilleuse d’abord/ à cause de cette impression quasi panoramique/ qu’elle donne : comme si l’on avait à sa disposition sous la main les Alpes,/ le Taurus ou la Cordillère des Andes »), et de Prévert (« Et quand tous deux nous gravissions/ de l’escalier de la maison/tous les degrés/ sur les murs avec ton gravoir / tu gravais ma gravelure »).
Lorsque plusieurs surfaces signifient profondeur.
Lorsque la lumière d’une photo est allumée par de l’amitié, la familiarité.
C’est cela la marque distinctive et le sens des photos de Villers: quand il te dit qu’il photographie avec le ventre un sujet qui finalement se regarde lui-même et il trouve le sens d’être ici parmi nous et jamais à mi-chemin entre la caméra qui reprend et ce qui n’est plus.
L’homme est ici, dans la photo, comme une bouteille qui porte le message d’une feuille, d’une plume, le papier mouillé qui en se pliant donne vie à ses ombres.
La toile où Hartung se plie dans l’effort de passer un rouleau.
Les spaghetti ondoyants sur le chanteur chauve Ionesco.
La salive de Villers qui devra rester même dans le négatif d’un «pliage d’ombre».
La gaze étendue sur les mots qui, dans d’autres lumières, dans d’autres photos d’André finiront par composer le visage de l’auteur de tant d’autres vers écrits sur les photos. Le visage qui s’effrange de Butor (" Âme / sylvestre/ et suave ").
L’écriture aussi sur le visage de Chantal qui surgit du noir qui est une couleur (Maeght dixit)- et le portrait d’Aragon.
« Mon cœur
            que lui dirons nous quand nous la verrons
                        Compte les fleurs ma chère
                        Compte les fleurs du mur».

Luca Traini, da "Album Villers"



André Villers con Debora Ferrari

Portraits. La perspective du ventre

[...] Un des secrets de l’art de Villers vient du fait que ses travaux ne sont pas isolés, même quand les sujets sont uniques. Cela vient du fait que l’amitié et la rencontre ont toujours été à la base de son activité et parce que de toute ses photos transparaît une humanité sincère.
Personnage aussi important que Picasso pour son histoire, Jacques Prévert devient aussitôt un ami précieux de Villers, comme il a été pour d’autres artistes et photographes.
Tous autour de Jacques comme tous autour de Pablo. Selon Villers, il était la source où tout le monde allait puiser – en particulier Cocteau et Prévert- parce qu’il avait toujours des phrases et des définitions dont il faisait cadeau, des trouvailles nouvelles et imprévisibles.


Jours de visite, de travaux, de rencontres, de bavardages, films, cigarettes, amours, vernissages et fêtes populaires, matchs de foot et réceptions chez les collectionneurs. Tout cela se passe à partir de 1953 autour de Picasso et pas seulement. Le livre Diurnes fait en 1962 avec les photos de Villers, les découpages de Picasso et les textes de Prévert témoigne de ce profond lien qui a traversé le temps.
Rien n’aurait été possible sans la Rolleiflex de Villers. La caméra à l’origine de tout.
Ainsi naissent les portraits, nets, intenses, forts. On les croiraient de l’époque de la Renaissance à cause du plan avancé du sujet qui joue avec les autres composantes de l’arrière-plan comme un méplat de Donatello, comme dans un portrait du Pollaiolo, comme dans une vision quadraturista de Mantegna.
La non solitude et la «perspective du ventre», voici deux secrets de la photographie de Villers. [...]

Debora Ferrari, da "Album Villers"

REFLEXions ad Aosta

REFLEXions a Brenta



Luca Traini legge REFLEXions al Salone del Libro di Torino (2008)


LA GRANDE FOTOGRAFIA DI ROBERTO MOLINARI IN MOSTRA



OBIETTIVO SOGGETTIVO
ARTE_FOTOGRAFICA DI ROBERTO MOLINARI

A CURA DI DEBORA FERRARI E LUCA TRAINI

VARESE, SALA VERATTI Via Veratti, 20

Nuovi orari in Agosto: da Giovedì a Sabato Ore 15-18
Finissage Domenica 12 Agosto Ore 15 con Lettura Poetica di Luca Traini

Col Patrocinio del MiBAC Anno Europeo del Patrimonio Culturale2018 e in collaborazione con ALINARI Firenze, Comune Varese e Comune di Gemonio



Risultati immagini per roberto molinari fotografo


La raffinata visione di Roberto, discreto e silenzioso interprete della realtà, di cui ha sempre evitato di registrare passivamente il mero riflesso.

 
Inizio dell'esposizione e china su pietra di Roberto Molinari
Una mostra, un libro, una serie di conferenze, vogliono svelare al grande pubblico l'attività trentennale di un fotografo d'arteRoberto Molinari (Gemonio, VA, 1946-2017), che nella sua carriera ha seguito numerosi artisti nazionali e internazionali, nei propri atelier, alle mostre, in cantieri di lavoro sulle Alpi Apuane o nelle storiche fonderie lombarde. La fotografia come documento collettivo.




Chi visita la mostra può ripercorrere più di trent’anni di arte varesina e non solo attraverso le figure dei protagonisti.

Roberto Molinari (c), Paolo Borghi Samuele Arcangioli
La sua fotografia possiamo ribattezzarla ‘photosophia’ perché la sua attenzione era all’anima e al senso delle cose, in relazione una con l’altra. Non si limitava a riprendere le opere d’arte destinate a essere scontornate su un catalogo, le faceva vibrare dello spazio circostante, della luce interiore, del significato per un preciso momento storico o un moto sentimentale. 


Roberto Molinari (c), Lo studio di Eugenio ed Eros Pellini

La sua è stata una fotografia essenziale, piena di verve, a volte drammatica, a volte gioiosa, sempre rispettosa di ciò che andava a immortalare per sempre, in connessione col senso della vita.


Roberto Molinari (c), Stella Ranza Angelo Zilio

La sua ispirazione ci ha insegnato a vedere il mondo con la sua delicatezza poetica tanto da rendere icona ogni cosa che fotografava, come il grande lavoro per Lucio Fontana nella casa di Comabbio(2016) dove ha documentato, insieme ai nipoti del grande artista, in modo essenziale e poetico i suoi strumenti, come taglierino e colori, e i suoi indumenti di lavoro nell’ambiente di design domestico.

Roberto Molinari (c), Hsiao Chin
Mostra di ritratti e fotografie in studio e in pubblico con più di 30 artisti internazionali nell’arco di 30 anni di fotografia, bianco e nero, colore, cibachrome, foto digitale, video.


Roberto Molinari (c), Kengiro Azuma e Niccolò Mandelli Contegni

Opere fotografiche rielaborate a colori e collage da Roberto Molinari. Creazione del sito internet dell'Archivio Fotografico Molinari. Obiettivo Soggettivo sarà anche un libro in limited edition di TraRari TIPI edizioni.

Roberto Molinari (c),  Luca Lischetti e Nes Lerpa
Un grande fotografo, anche quando ci lascia, non chiude mai gli occhi perché resteremo sempre in quello che ha aperto per restituirci il mondo.
Roberto Molinari ci ha donato il terzo occhio a passo di danza, in pose da acrobata: improvvisamente era lì, poi sembrava scomparire – e ti era sempre accanto. Era quanto doveva ancora essere detto, la misura sottile della visione, lo sguardo.

Roberto Molinari (c), Albino Reggiori
Senso del progetto

“La visione è l’arte di vedere cose invisibili” e in questo modo Roberto Molinari ha dato al mondo dell’arte e agli artisti la sua personale poetica di ripresa attraverso la fotografia.


Roberto Molinari (c), Il poeta Silvio Raffo

Attivo da oltre trent’anni in territorio varesino e nazionale, Molinari era passato dalla passione per il disegno a china e matita, che coltivava con grande raffinatezza, a metà anni Ottanta, all’amore per la fotografia d’arte e di reportage poetico, lui stesso stampatore dei suoi indimenticabili bianchi e neri.

Roberto Molinari (c), Vincenzo Morlotti Giorgio Robustelli

Veniva chiamato dagli artisti per la sua capacità poetica di documentare il lavoro dell’arte e il suo esito pubblico rispettando la personalità dell’autore, accentuandola naturalmente.

Roberto Molinari (c), Giorgio Vicentini

Elenco artisti (sintetico)

Abate, Ambrosini, Arcangioli, Azuma, Baj, Bodini, Borghi, Botero, Buda, Caminati, Casiraghy, Chisari, Cipolla, Costantini, D’Ambros, Dangelo, D’Oora, Fabbri, Al Fadhil Ferrario, Fontana, Gandini, Isella, Leoncillo, Lerpa, Lindner, Lischetti, Maineri, Mandelli, Marrocco, Milani, Monti, Morlotti, Pedretti, Pellini, Penna, Piccaia, Pizzolante, Quattrini, Raffo, Ranza, Ravedone, Reggiori, Robustelli, Robusti, Rossello, Salino, Savinio, Sangregorio, Scarabelli, Hsiao Chin, Sovana, Tavernari, Tapia Radic, Traini, Veronesi, Vicentini, Zilio.

Roberto Molinari (c), Anny Ferrario Pina Traini
Tutti gli artisti diventano ‘opere’ esposte con fotografie stampate da Roberto Molinari e donate agli stessi e altre recuperate nel suo archivio.

Roberto Molinari (c), Floriano Bodini con la figlia Sara Giancarlo Sangregorio
Dal 15 settembre al 6 ottobre la mostra sarà anche al Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio con in più una sezione dedicata alle ambientazioni, dagli studi alle mostre ai luoghi di lavoro degli artisti.


Roberto Molinari (c), Sergio Tapia Radic

Al Museo Bodini si terranno anche incontri prestigiosi come quello con Alinari di Firenze sulla fotografia.

Raffaella Grandi (c), Obiettivo Soggetivo - Omaggio a Roberto Molinari
(parete di fondo della mostra)



Per approfondimenti

lucatraini.blogspot.com/2017/04/la-photosophia-di-roberto-molinari
lucatraini.blogspot.com/2016/07/nel-segno-di-lucio-fontana
repubblica/2016/07/26/conoscere-fontana-tra-la-mostra-in-comune-e-il-buen-retiro-sul-lagoMilano
ilgiornaledellefondazioni/casa-di-lucio-fontana-quasi-cinquantanni-dopo


Altre foto Dall'alto Luca Traini, Il grembiule di Lucio Fontana fotografato da Roberto Molinari e la Sibilla; Debora Ferrari, Ritratto di Roberto Molinari; Luca Traini, Inizio dell'esposizione e china su pietra di Roberto MolinariL'inaugurazione.


LA PHOTOSOPHIA DI ROBERTO MOLINARI


Ci ha lasciato domenica 23 aprile il poeta-fotografo di Gemonio


Un grande fotografo, anche quando ci lascia, non chiude mai gli occhi perché resteremo sempre in quello che ha aperto per restituirci il mondo.


Qui e in alto Roberto Molinari in due ritratti di Debora Ferrari

Roberto Molinari era è l’arte che fotografava: quella forza misteriosa dietro un’apparenza così fragile.


Ci sarà pure un motivo se parliamo di anima. Quella messa a fuoco, quel gioco di luce impalpabile.

Qui e sopra due foto di Roberto Molinari dello studio di Lucio Fontana a Comabbio (VA) tratte dal catalogo
della mostra, curata da Debora Ferrari e Luca Traini, Viaggio nel segno di Fontana, TraRari Tipi, 2016

Roberto ci ha donato il terzo occhio a passo di danza, in pose da acrobata: improvvisamente era lì, poi sembrava scomparire – e ti era sempre accanto. Era quanto doveva ancora essere detto, la misura sottile della visione, lo sguardo.

Gli artisti e i curatori della mostra Viaggio nel segno di Fontana in una foto di Roberto Molinari:
da sinistra, Vittorio D'Ambros, Angelo Zilio, Stella Ranza, Debora Ferrari, Samuele Arcangioli, Luca Traini.

Non può essere assente. Restiamo nel suo riquadro in attesa che dica “Va bene”. E riabbracciarlo mentre sorride, anche nel bianco e nero dei sogni.


ROBERTO MOLINARI E LA SUA PHOTOSOPHIA


Roberto Molinari, Sergio Tapia Radic

“La visione è l’arte di vedere cose invisibili” e in questo modo Roberto Molinari ha dato al mondo dell’arte e agli artisti la sua personale poetica di ripresa attraverso la fotografia. Attivo da oltre trent’anni in territorio varesino e nazionale, Molinari era passato dalla passione per il disegno a china e matita, che coltivava con grande raffinatezza, a metà anni Ottanta, all’amore per la fotografia d’arte e di reportage poetico, lui stesso stampatore dei suoi indimenticabili bianchi e neri.


Roberto Molinari, Albino Reggiori

Con chi firma questo articolo ha scattato migliaia di fotografie in studi, atelier, mostre d’arte, vernissage, conferenze stampa, pubblicate anche per La Prealpina e Lombardia Oggi tra il 1990 e il 2000, ma soprattutto veniva chiamato dagli artisti per la sua capacità poetica di documentare il lavoro dell’arte e il suo esito pubblico rispettando la personalità dell’autore, accentuandola naturalmente. Con leggerezza, pudore, semplicità e sincerità, si muoveva intorno ai soggetti  quasi impercettibilmente, come uno spirito che coglie l’apparire segreto del mondo. La sua fotografia possiamo ribattezzarla ‘photosophia’ perché la sua attenzione era all’anima e al senso delle cose, in relazione una con l’altra. Non si limitava a riprendere le opere d’arte destinate a essere scontornate su un catalogo, le faceva vibrare dello spazio circostante, della luce interiore, del significato per un preciso momento storico o un moto sentimentale. La sua è stata una fotografia essenziale, piena di verve, a volte drammatica, a volte gioiosa, sempre rispettosa di ciò che andava a immortalare per sempre, in connessione col senso della vita. La sua ispirazione ci ha insegnato a vedere il mondo con la sua delicatezza poetica tanto da rendere icona ogni cosa che fotografava, come lo scorso anno il grande lavoro per Lucio Fontana nella casa di Comabbio dove ha documentato, insieme ai nipoti del grande artista, in modo essenziale e poetico i suoi strumenti, come taglierino e colori, e i suoi indumenti di lavoro nell’ambiente di design domestico.


Roberto Molinari, Nes Lerpa

La macchina fotografica, l’obiettivo, erano il prolungamento della sua visione cerebrale ed emozionale, tanto quanto era noto per le sue contorsioni nello scatto per carpire le visioni dai punti di vista più segreti. Proprio due mesi fa con noi curatori aveva appena concordato col Direttore dei Musei Civici di Varese la sua mostra personale per i trent’anni di attività fotografica, destinata agli inizi del prossimo anno in Sala Veratti e dal titolo “Obiettivo Soggettivo, i volti nell’arte di Roberto Molinari da Azuma a Scheiwiller”, un repertorio di stampe da lui realizzate negli anni Ottanta e Novanta e una serie di altre fotografie fino alle più recenti, capaci di donarci l’intimità degli artisti e delle loro opere in un centinaio di scatti scelti. Nomi internazionali come Azuma, Abate, Botero, Dangelo, Fabbri, Scheiwiller, Shiao, Veronesi, Sangregorio, Baj, Borghi, Bodini, Lerpa, Ukrufi, per citarne alcuni, accanto ai non meno noti e ben conosciuti a Varese quali D’Oora, Ferrario, Robusti e Robustelli, Reggiori, Vicentini, Lischetti, Arcangioli, Ranza, Zilio, D’Ambros, Morlotti, Traini, Costantini, Monti, Lindner, Ambrosini, Chisari, Quattrini, Scarabelli, Tapia Radic e la lista prosegue. Ha pubblicato le sue fotografie in numerosi cataloghi di artisti, riviste, quotidiani, mai per vanto personale, sempre per servizio agli altri, generosamente. Questo lavoro sulla sua opera proseguirà per avere corpo nella mostra in preparazione e col suo archivio.


Roberto Molinari, Anny Ferrario

Una malattia fulminante gli ha interrotto ogni prospettiva, a settant’anni da pochi mesi compiuti, lasciando noi, parenti, amici e artisti, sconvolti dalla velocità dell’accaduto. Stavamo lavorando a un progetto  di mostra che avrebbe unito le opere di Eugenio Pellini a quelle di Vittorio Tavernari.

ARTE E TECNOLOGIA




[...] Prima col treno e poi con l’automobile velocità mai sperimentate iniziano a sfaldare la compattezza delle forme anche alla luce del giorno: vista da un mezzo di locomozione in corsa la terra diventa sempre più fluida e i colori definiti si trasformano in scie.
[...] E se il fotografo Nadar, alzandosi in volo col pallone aerostatico per inquadrare la città dall’alto, aveva concretizzato il sogno di Parmenide, con l’aeroplano e l’elicottero la rappresentazione in volo diventata dinamica, parallelo celeste del cinema.
[...] L’universo , visto da telescopi sempre più grandi e potenti, amplia la nostra galassia e quindi scardina la sua unicità. Il pianeta degli scienziati e degli artisti si trova nella nuova e contraddittoria posizione di soggetto di questa visione continuamente aggiornata del cosmo e allo stesso tempo di oggetto trascurabile sempre più alla periferia di quanto osservato.
[...] La grande rivoluzione della chimica permette la nascita di due nuove arti: la fotografia e, soprattutto, con l’ invenzione della celluloide, la prima arte capace di riprodurre immagini in movimento ,il cinema.
[...] Le nuove arti permettono la progressiva democratizzazione di massa dell’eredità culturale.




 ATELIER PELLINI: DA PIÚ DI UN SECOLO NEL CUORE DI MILANO





Eugenio Pellini, nato a Marchirolo il 17 novembre 1864 e trasferitosi a Milano nel 1878. Tante le sue opere consacrate nelle mostre, in gallerie e nelle case private, ma il bisogno più grande in questo momento è quello di comprendere l’importanza necessaria del suo spazio e atelier nella Milano di oggi, nella via di ieri, Siracusa, dove aprì da giovane il suo studio per fare carriera, lo stesso vissuto poi dal figlio Eros, anch’egli scultore. Un luogo dove un artista ha fatto nascere la propria arte, l’atelier di Milano, con una storia ultracentenaria, è un luogo da proteggere e amare; la protezione la danno gli eredi e l’amore il pubblico nel riconoscerlo. É quindi direttamente dal suo luogo d’elezione che provengono i pezzi esposti e pubblicati: sculture, taccuini, progetti di monumenti funebri per Varese e per Milano.
E proprio a Eugenio Pellini, presente nella nostra mostra con diverse opere(in primis il Minatore), dobbiamo uno dei primi ritratti italiani di Carlo Marx. Un busto ancora presente nel suo studio milanese - accanto alle vie dedicate al suo Risorgimento, Curtatone, e al suo sindaco, il socialista Caldara - dove le scalpellature danno vita a tutta una serie di scintille di luce che fanno vibrare la forza michelangiolesca del marmo.

Da Debora Ferrari, Luca Traini, Come la luce, TraRari Tipi, 2019



LA REALTA' VIRTUALE DI PIERO DI COSIMO



Le nuove tecnologie forniscono a livello di massa gli strumenti per contesti emozionali che una volta erano privilegio di pochi artisti. La totale immersività  della realtà virtuale, quegli “oculi”, che sembrano rendere ciechi agli occhi degli estranei, in un’ottica storica sembrano riflettere l’autosindrome di Stendhal di certi pittori. Il mio amato Piero di  Cosimo ne è un ottimo esempio, con la sua casa, il suo studio dove stava sempre rintanato, come l’enorme casco virtuale di un mondo incantato: “essendo ito col cervello ad un’altra sua fantasia”, “tanto amico de la solitudine” (tra virgolette il biografo, il Vasari). Ecco, un incanto da cui non si vuole uscire se non per le strette necessità di sopravvivenza di un corpo diventato avatar di una Matrix in simbiosi col Mito, la Fabula che insegna e non permette una vita normale all’affabulatore. Le sensazioni non devono essere per forza piacevoli (basta vedere la sua ossessione per il mito di Prometeo). Il piacere del gioco implica anche il dolore della perdita, del rischio di annichilazione del giocatore quando perde l’approdo a un nuovo livello. Apri Piero di Cosimo in un motore di ricerca, Immagini, mettiti gli occhiali del Sant’Antonio della “Visitazione”, calza gli stivali alati di Mercurio e diventa Perseo che vola incurvando montagne celesti, sprofonda nei gorghi del mostro, riaffiora dagli spruzzi delle sue narici e libera Andromeda. Nel quadro magico c’è anche una colonna sonora fatta di musicisti esotici e strumenti impossibili. C’è casa sua sulla collina selvaggia di sinistra, non in città, non a Firenze, con la natura che va per i fatti suoi per espresso desiderio dell’artista - “lasciava crescere le viti et andare i tralci per terra, et i fichi non si potavono mai, né gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa” – perché l’ordine è astratto, è arte, è sogno, è gioco: il gioco degli dei evocato, imitato, travisato, concretizzato – olio, pigmenti o Photoshop – dal giocatore.




TOMMASO DA MODENA: MEDIOEVO IN REALTÀ AUMENTATA

Commento musicale Marchetto da Padova, Ave corpus sanctum

E la rivoluzione del realismo di Giotto strizzò l’occhio alle nuove tecnologie. Dei quaranta superbi ritratti di famosi domenicani affrescati da Tommaso nel Convento di San Nicolò a Treviso (1352) è chiaro che ne balzano agli occhi soprattutto due. Il cardinale Nicolas Caignet di Fréauville con la lente e il suo collega Hughes di Saint-Cher con gli occhiali: prima assoluta nel mondo dell’arte. Non che mi siano particolarmente simpatici - preferisco Alberto Magno che ti squadra e sembra dire: “Solo l’esperimento dà certezza” – conoscendoli so che mi avrebbero spedito dritto al carcere a vita o sul rogo. Ma l’artista: che fine psicologia, che nuovi stupendi strumenti! Una rivoluzione in mano a due che immaginavano di incarnare la più pura tradizione. Che invece è sempre - e per fortuna – impura e soggetta alle nuove riflessioni imposte proprio dai nuovi mezzi della tecnologia. Parlando di lenti e occhiali quasi certamente qualcosa di simile era già stato escogitato in età antica, dalle pratiche degli astronomi assiri agli studi di ottica dei grandi scienziati ellenistici a quella specie di lente che usava Nerone, miope non solo in politica. Ma è il tanto bistrattato Medioevo a realizzarli in silenzio, senza inventori, devotamente (e grazie agli studi del francescano Ruggero Bacone, con cui inquadro i tre domenicani). Occhiali antenati della nostra realtà virtuale e aumentata, ne accennavo già nelle Connessioni Remote della prima mostra di Neoludica ad Aosta nel 2009.

Grazie a loro riusciamo a vedere e a venire in possesso di informazioni non più disponibili sia nel campo dei media (all’epoca il libro) che in quello della vita (la realtà rivisitata con occhi nuovi). Prima c’era la memoria esercitata da un feroce insegnamento di nozioni da tenere a mente o il semplice aiuto di un’altra persona che leggeva ad alta voce o indicava quanto non più visibile (e c’è da dire che l’invisibile allora era di moda). Lenti e occhiali aiutarono una nuova dimensione di visione individuale del mondo e una lettura sempre meno ad alta voce e più mentale (come la nostra: difficile immaginare oggi il vocio delle biblioteche dell’epoca o, peggio, di quelle antiche piene di retori). Aprirono la strada verso nuovi mondi prima impensabili: il macrocosmo (col telescopio) e il microcosmo (col successivo microscopio). Due realtà sempre esistite, ma penetrate in quella ritenuta quotidiana e rese visibili, accessibili, studiabili solo con questi strumenti. E la “realtà”, termine in continua - e parziale – definizione, non fu più la stessa. In tempi più recenti l’ottica applicata all’arte avrebbe portato alla camera oscura (gioia di schiere di pittori dal Barocco alla Rivoluzione Francese), alla fotografia e alle cineprese: dal gioco delle ombre a quello dell’immagine riprodotta senza pennello o scalpello, alla riproduzione del movimento (ultimo scandalo: prima della democrazia dominava l’immobilità del signore, a muoversi era il servo). Fino alle nuove realtà tecnologiche che immergono la vista in nuovi panorami e intelligenze. Perché “intelligenza” deriva da “intus legere”, leggere dentro le cose, andare oltre l’apparenza. Perché le apparenze, come le realtà, sono tentativi di sintesi di differenze.

Luca Traini




ARCHITETTURA E LETTERATURA Palladio e Trissino



Se nel 2010 il congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto Palladio “padre dell’architettura americana” il merito è anche di un poeta dai versi meravigliosamente noiosi: Gian Giorgio Trissino da Vicenza .Non parlo tanto del poema L'Italia liberata da' Gotthi, commovente mattone, ma di quelle Rime dove, da formidabile erudito, propose triti amori in una rivoluzionaria scrittura che aggiungeva lettere greche all’alfabeto italiano. Un tentativo di riforma in epoca di Riforme brandito, da bravo cavaliere di stirpe nobile, contro la codificazione della lingua letteraria proposta dal Bembo, pur “ʃapεndo, che la maggior parte de gli hωmini inεxpεrti fuggono la innovatione”.
E infatti l’assalto fallì. Restano una prosa efficace, aver riscoperto, tradotto e fatto stampare il De Vulgari Eloquentia di Dante e aver educato ai classici un “giovane favoloso”, Andrea di Pietro, guidandolo fra le antichità di Roma e ribattezzandolo Palladio.
E’ lui a fargli conoscere Vitruvio, prototipo dell’architetto colto (“litteras architectum scire oportet”) che diventerà modello per I Quattro Libri di Architettura,pubblicati a Venezia nel 1570: “Mi proposi per maestro e guida Vitruvio ”(cioè,Trissino).
Tramandando e tradendo fedelmente nella pratica tutti e due. Così l’erudizione diventò Arte.




 CASTELSEPRIO-SIRIA: SANTA MARIA FORIS PORTAS




Ogni volta che torno in pellegrinaggio laico a questo capolavoro assoluto, evanescente la memoria va alle ultime pagine della Storia dei Longobardi del mio caro Paolo Diacono, quelle dedicate all’intensa attività di costruttore di chiese e monasteri del re Liutprando (prima metà VIII sec.).
Nell’arte i Longobardi amavano scegliere a seconda dei casi (politici) simbolismo o realismo. Specie per quest’ultimo, manodopera orientale. E come mi sono chiesto perché sono finito in questi boschi dalle bionde colline delle Marche, così forse anche l’artista siriaco, che immagino fuggito (povera, grande Siria anche allora) dalle lotte iconoclaste dell’impero bizantino. Per affrescare in quello che oggi è silenzio, ma allora vivace cittadina, questo mirabile esodo dall’arte antica (ora Patrimonio dell’UNESCO). Da un Vangelo apocrifo poi, come quello di Giacomo! Lo stesso illustrato con immagini affini in un dittico eburneo di qualche anno prima, sempre di provenienza siriana.
L’uomo, l’artista, lo straniero – l’artista è sempre straniero – è trasumanato in quella sublime dolcezza dove è la terra a ispirare il cielo. In quella intensità di gesti, di sguardi che non aveva bisogno di parole.

Testo e foto di Luca Traini


CHIESA DI SANT'ANTONIO DI VARESE Falò e luce interiore



A mio agio nella folla che assiste al falò o fra i pochi assorti in chiesa. Come nello scorrere impetuoso del tempo al ritmo del fuoco: dal presente al Rococò al Barocco, dalla città-giardino di oggi al deserto infuocato degli eremiti egizi (Varese e i suoi santi africani: dall’Egitto di Antonio al Marocco di Vittore, cui è dedicata la basilica).
Un luogo per il culto degli eremiti nella più antica piazza del mercato della città. Il culto economico degli anacoreti per l’autarchia. Pambo, discepolo proprio di Antonio: "Nel deserto non mi ricordo di aver mangiato 'un pezzo di pane dato in dono' (Paolo, Lettera II ai Tessalonicesi) fuori dell'opera delle mie mani" (Palladio, La storia lausiaca). Un monito a non esagerare con lo spirito, quello affaristico.
Contrasto su contrasto riprendo il falò in uno specchio ed entro nella chiesa da una delle due porte trompe-l’oeil per assistere alle vite parallele dei putti settecenteschi con le statue già vecchie d’un secolo. Quando sono stanchi di svolazzare felici o di giocare con tiare e paramenti li vedi che cercano di incrociare lo sguardo con le sculture di terracotta. Invano. È il caso di quell’angioletto ormai fantasma con un distratto Ilarione di Gaza.
Poi c’è quel Paolo di Tebe, michelangiolesco (ma opera dello sconosciuto Francesco Selva), di così sofferta, orgogliosa solitudine…
Non resta allora che perdersi nelle architetture visionarie del Baroffio e nelle creature in volo che le abitano, dipinte dal Ronchelli.
In excelsis. Insieme agli ultimi biglietti dei desideri che i vigili del fuoco affidano alle lingue di un altro incendio.

Testo e foto di Luca Traini


MUSEO BAROFFIO, SACRO MONTE, VARESE: ASCESI ESTETICA




Stendhal: “L'aspetto del villaggio stretto intorno al santuario del Sacro Monte di Varese è straordinario… Visione magnifica! Al tramonto del sole si vedevano sette laghi”.
Bisogna riporre le ali quando si entra nel museo dopo essere stati rapiti sulla balconata. Ma è per poco. Altri voli ci aspettano all’interno.
In primis, una Madonna con Bambino di Domenico e Lanfranco da Ligurno (1196 ca.), che sembra pronta al decollo per raggiungere il disco d’oro dei Voyager.
Inserita fra il volo tutto terrestre - e geopolitico - a cavallo di un toro di Europa (figlia di re libanese), opera dell’ambiente di Donato Creti (il primo grande pittore di osservazioni astronomiche), e il San Gerolamo (con la Vulgata, manuale principe del decollo spirituale e temporale della chiesa cattolica), dipinto nel 1745 da Francesco Cappella (cognomen omen).
La base prevede al centro il Compianto sul Cristo morto (e pronto al ritorno in cielo) di un seguace del Van der Weyden, incastonato fra un taglio di capelli per le feste del Maestro della Tela Jeans (settecentesca ma simile a quella dei miei calzoni durante la visita) e le metamorfosi alchemiche dell’Allegoria di Aria e Fuoco in ambito Jan Bruegel Il Giovane (XVII sec.).
Questo il breve Introitus di un cosmonauta dell’arte prima di altre meraviglie che dal passato approdano a una sala numinosa di arte sacra del XX secolo.
Buon viaggio!

Testo e foto di Luca Traini


SALA VERATTI: UN'ARTE PIENA DI GRAZIA



Dal Motore Immobile alle auto che passano, perché tutto passa, anche in Via Veratti, Varese. Restano gli affreschi del refettorio dell’ex convento di Sant’Antonino, dove le monache masticavano Aristotele ribollito da San Tommaso distratte dalla sensualità delle Sibille affrescate in medaglioni dalMagatti rifiniti nelle false architetture del Baroffio. Ci avevano provato a ricondurle sulla retta via della Tomistica piena di polvere e profeti barbogi, ma poi si erano persi in quei volti femminili pieni di grazia  - tutta terrena – e, a loro modo, profetici.


Entriamo da quello che un tempo era il fondale, attori sulla scena di un teatro di fantasmi discreti. Il nostro ingresso  - la porta non è neanche piccola e stretta - si apre nel muro dell’ex convento di Sant’Antonino e in quello dell'affresco attribuito a Donato Mazzolino. Lo splendore dell’opera fa da contrasto con l’oscurità delle notizie sull’autore.


Tra Annunciazione e Strumenti della Passione lascio il segnale rosso degli estintori.


L’Annunciazione è un film.
Esterno. Flashback. Davide, il re, l’antenato suona l’arpa. Commento musicale Sinfonia dal Saul di Händel.
Esterno. Flashforward. Esposizione angelica degli Strumenti della Passione.


I dadi (uno col numero Uno ma tre come in tre Persone), la cui somma è dieci come le dita delle due mani crocifisse - e la divina Tetraktys dei Pitagorici - come mura in piccolo.


La lancia in parallelo con il fusto del giglio. Il putto in lacrime, ma in piedi, diventa l’arcangelo Gabriele che visita Maria. L’altro che piange seduto rimanda alla postura della Vergine.


Quel muro al centro con i mattoni perfettamente squadrati che sanno di Città Celeste. La nostra civiltà è un sogno ad angolo retto (con diritto alla distrazione).


Gabriele: un piede fuori e uno dentro. Annunciazione.


Interno. La bellezza di Maria, destra sul cuore


e sinistra accanto al breviario e al campanello che annuncia il Rosario.


I grani del rosario e il pane fresco o stantio delle monache. Mangiare l’immagine con tutte le sfumature dell’oro per la colomba dello Spirito Santo. Commento musicale O salutaris hostia di Giovanni Battista Martini.


Pane stantio. Profeti. Abdia: il testo più breve dell’Antico Testamento, ma duro e pesante come “roccia di Israele”, come un monolite. Tavola della Legge che graverà su Edom e Varese anche se cercherà scampo sulle alture del Campo dei Fiori o nelle Grotte di Valganna.


Meno stantio Abacuc, sempre vecchio bacucco ma da colori e sfumature più dolci. Come il brandello di testo: “Tu sei uscito per salvare il tuo popolo, per salvare il tuo consacrato”.


Isaia conserva ancora qualche freschezza: “Un figlio ci è stato dato” e prenderà vita da quel magma di colori caldi.


Impromptus: il profeta Daniele con le due dita della sinistra che sembrano chele e quel volto androgino che pare allusione al passaggio dalla rigidità virile del Libro alla grazia pagana della scrittura delle Sibille, come il Virgilio della IV Ecloga e del "pius Aeneas".


E’ ora di spalancare le finestre. Aria dal Magnificat di Vivaldi. Et exultavit.


Maria visita Elisabetta e io resto prigioniero di geometrie e meccanismi di apertura e chiusura delle imposte.


Lattanzio e Agostino avevano liberato le profezie delle Sibille prima del rogo dei loro libri e quelle consunte e rattrappite profetesse avevano preso nuova vita tanto da essere annoverate “nel numero dei cittadini della città di Dio” (Agostino, La città di Dio XVIII, 23.2). Un modello tanto caro a Umanesimo e Rinascimento per la tentata osmosi fra reminiscenza pagana ed eredità cristiana che aveva avuto il suo culmine con Michelangelo negli affreschi della Sistina.


Ecco allora la Sibilla Eritrea che respira a pieni polmoni nel suo décolleté alla moda. La pagina che sfoglia sottile non ha più nulla della dura pietra di Abdia.


La Sibilla di Cuma reca una citazione tronca della IV Ecloga virgiliana, ma il senso è chiaro e la giovane profetessa lo indica in modo cristallino, come quella goccia sulla fronte trasformata in perla.


La Sibilla Persica, degna della Trilogia Persiana di un Goldoni, bella e conturbante con le sue tre perle in una persona. Orecchino, spalla, seno e sguardo perso verso l’alto.


Poi è la Sibilla Libica, a mio modo di vedere, che mostra il suo oracolo come compito ben scritto in un collegio gesuita. Ma quello sguardo…


Quegli occhi guardano oltre. Oltre il pasto frugale delle suore, oltre il lusso apparente e la falsa prospettiva marmorea che in realtà non poteva costringere la grazia prorompente delle donne in quei medaglioni.
Oltre la nostra visita in ritardo di secoliMa ora ci siamo.
Quegli occhi, come tutta quest’arte - così imprevista nello scorrere implacabile del tempo, delle auto in Via Veratti, a Varese - guardano al futuro di una nuova città - terrena – che sappia finalmente cogliere il senso profondo - e civile - di tutta questa bellezza.

Testo e foto di Luca Traini


EUGENIO PELLINI, "DUE TELAMONI" (Varese, 1905)



I due Telamoni del Pellini stanno a guardia di un numero 17 da più di un secolo, giganti in una piccola città, testimoni di un mito in grado di sorreggere balconi come architravi di un tempio. Dio e lo spirito dei tempi erano già scesi in forma di vapore nella prima stazione ferroviaria di Varese e come ipostasi di luce per ombre immobili nelle prime lampadine.


Passa il tempo, passano oltre gli studenti che arrivano in treno, indifferenti come gli altri passanti perché alle due statue manca un tempio. C’è San Vittore, c’è il Sacro Monte, ci sono le stazioni della Nord e dello Stato, c’è accanto l’enorme facciata di un cinema storico per la città, il Politeama, chiuso. Ma la gente non ha pietà per chi resta fuori, sotto i cornicioni, i ponti, i balconi, anche se sono statue, soprattutto se sono statue e non rondini o statue non antiche, ma dell’epoca del piccolo re dal lungo nome: Vittorio-Emanuele-III.


Non sei antica, non sei cristiana e allora i gas di scarico t’inquinano senza senso di colpa. Diventano e restano nere, tornano a riflettere l’essenza umana della pietra: essere sempre prigioni e allo stesso tempo angeli. Ci stanno pensando. E non scenderanno.

Eugenio PelliniDue Telamoni per il balcone di Casa Bianchi (1905), Varese, Via Morosini 17

Testo e foto di Luca Traini


 DE CHIRICO, "I BAGNI MISTERIOSI"
(Triennale di Milano, 1973)


Commento musicale Giacinto Scelsi, Le réveil profond (1972)


Devo chiedere al cigno se è stato Apollo a far scaturire quell’acqua con un graffito. Dinamica e immota, i bordi taglienti come una ferita interiore nel vero composto di ossigeno e idrogeno, che riflette.


Quale Apollo? Quale Ermes? Quali bagnanti? Il gioco è sospeso.


Il pesce è un arbitro muto. Osserva quel tanto che basta gli dei o gli uomini sorgere da onde di pietra, immemori che ogni altare sorge da un sostegno liquido.


Nota come la scala, come i piccoli pilastri poggino saldi sul fondo di una piccola piscina. Tu, se sali, hai la possibilità concreta di passare oltre il fantasma di una porta.



Testo e foto di Luca Traini


BERGAMO: LA MUSA INNAMORATA DI PALAZZO RONCALLI


Commento musicale Ludovico RoncalliPassacaglia


I resti degli affreschi di Piazza Mascheroni come frammenti lirici.


L’epica dell’uomo con lo scettro è solo un ricordo triste.


Vive di musica discreta il flautista che ama nascondersi, quanto resta di un grande concerto è un soffio evanescente ma tenace.


Sembra ancora ispirare chi spalanca le imposte perché possano baciarsi gli amanti.


Testo e foto di Luca Traini
Per approfondimenti territorio.comune.bergamo.it


ALI E RADICI NELL'ARTE
La Chiesa di Pecetto e i bronzi di Tavernari a Macugnaga (2017)



Dalla chiesa di Pecetto alle nubi che si aprono come sipario sulla montagna, planando nel cuore della Madonna dei Ghiacciai come nel fulcro assorto di Macugnaga, la luce illumina come pura neve l’ala dell’angelo sulla terra madre.
Le radici e la pietra di ritorno dal Lago delle Fate. Quell'isola di luce sui ghiacciai del Rosa.
Il tiglio antico attende il suo millennio, il ritorno di gregge e pastore plasmati nel bronzo da Tavernari. Il bronzo che eredita la struttura del legno nella piazza di Macugnaga, il gioco di incastri che vuole durare nel tempo.
Tavernari, scultore di corpi che si dilatano in cieli, dove sembra accennare evanescenti graffiti ancestrali.
La montagna è come un monumento a una presenza amica.
E una pausa di silenzio severo, appena velato di nostalgia, accompagna il definitivo ritorno all'ovile.



IL PAESE DELLE PIETRE SOGNANTI

"dal fondolago, fino al nuovo
incendio mi fa strada"

Eugenio Montale, Da un lago svizzero


Commento musicale Arthur Honegger, Suite archaïque

Le prime statue che incontro sono quelle del lago, appena emerse da qualche abisso luminoso. Monocromi squillanti quasi ancora fluttuano approdando nel piccolo porto di Vira Gambarogno.

Foto Luca Traini

La dinamica dominante è quella aerea: un passo dalla terra, dall'acqua - un passo più vicino al cielo, come questo paese incantato, sospeso, dove sono esposte in osmosi.
Qui davvero l'arte è di casa, da quasi cinquant'anni (1968), e si vede, si contempla in una specie di estasi quotidiana; le opere sembrano avere appena socchiuso la porta o guardarti dalla finestra prima di sorprenderti a ogni angolo di strada.

Foto Luca Traini

Maestria dell'organizzazione e genio dell'artista hanno dato vita a una coralità diffusa di presenze e contesti, un percorso mutante di piccoli teatri silenziosi, ognuno aperto a una prospettiva diversa, a un nuovo orizzonte.
Consacrate al vento,

Foto Luca Traini

al verde,

Foto Luca Traini

alla pietra,

Foto G'15

acrobate dei tre elementi (terra, acqua, aria) come il paese che le custodisce come figlie,

Foto G'15

le statue di Ivo Soldini intonano i loro inni muti a un genius loci sognante.







ROBERT RAUSCHENBERG Bed _ Letto (1955)


“Il pittore, il fabbricante di letti, Dio”
Platone, La Repubblica, 597 b


Nel letto di Rauschenberg è il corpo dilaniato del XX secolo, tutta la gamma delle sue ferite ancora vive.


Devi sporcarti gli occhi dentro quei brandelli di lenzuola. Come le mani dell’artista, dell’uomo, del ragazzo che studiava farmacia e prestò servizio militare in un ospedale psichiatrico (c’era la guerra).
C’è l’ombra, tutte le ombre sudice dell’epoca più luminosa.





 I RAGGI X FRA ARTE E POESIA

PRIME LASTRE Gozzano e i Futuristi


Commento musicale Iannis Xenakis, Diamorphoses


I raggi X sperimentati da Röntgen nel 1895 aprono la strada e il corpo umano a nuove visioni. Recepite in negativo, come nel caso di una visita del poeta Guido Gozzano (1907): “O cuore non forse che avvisi solcarti, con grande paura,/ la casa ben chiusa ed oscura, di gelidi raggi improvvisi?/ Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore,/ trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace/ e l’ossa e gli organi grami, al modo che un lampo nel fosco/ disegna il profilo d’un bosco, coi minimi intrichi dei rami”. In positivo (ma con le solite esagerazioni), nel Manifesto tecnico de La pittura futurista (1910): “Chi può credere ancora all’opacità dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenomeni medianici? Perché si deve continuare a creare senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi X?”.
Oggi, dopo aver passato ai raggi X tutta la storia dell’arte, non per effetto di chissà quali poteri medianici, ma per il consueto progresso culturale che vede gli strumenti man mano diventare simboli, si fa anche arte coi raggi X.





RECANATI: LORENZO LOTTO E GIACOMO LEOPARDI

Lontananza di due solitudini

Parte prima

Immagina l’incontro degli occhi di Giuseppe di Arimatea con quelli del poeta.

Lorenzo Lotto, Polittico di San Domenico, Recanati, 1508, Dettaglio della Pietà con Giuseppe di Arimatea

Meno di un attimo. Due dolori che non si parlano.
Abissi di tempo, di senso. L’infinito del pittore è concreto, è quel cadavere bianco destinato a risorgere. Lo strazio di Giuseppe è solo questione di tempo: una breve concessione al dramma da parte dell’eterno.
La tragedia del poeta non prevede un dialogo con questo genere di sofferenza a tempo. Troppi colori per un letterato. Troppa fiducia nell’attesa per il filosofo del nulla, per l’uomo che ha fede solo nella memoria delle speranze tradite di un fanciullo.
Qualcuno dovrà pur asciugare le lacrime di Giuseppe. Questa la volontà del pittore.
Illusioni! grida il filosofo” avrebbe pensato Leopardi, citando Foscolo, cercando nel pianto le uniche tracce luminose, tremanti del nostro passaggio.

 Lorenzo Lotto, Polittico di San Domenico, Recanati, 1508, la Pietà nella cimasa

LEOPARDI Come sei bella, Maddalena! Potessi baciare le mie ferite come la mano del tuo dio che non esiste.

Recanati e Loreto in un'incisione della fine del XV secolo

Lotto era finito a Recanati sulla strada per Roma, pieno di speranze. L’approdo momentaneo era una città che comprendeva anche Loreto in pieno decollo spirituale ed economico: un santuario quasi completato che aspettava solo la facciata del Bramante, un vescovo imparentato con papa Giulio II e un altro prozio del futuro poeta Torquato Tasso (parola di Monaldo Leopardi).

San Flaviano protettore di Recanati, incisione di Secondo Bianchi (notizie 1780-1820)

La Recanati del poeta era pura provincia della Restaurazione: un paese privato di Rinascimento, Loreto e anche del relativo sviluppo economico seguito alla creazione del porto franco di Ancona (1732).


Luca Traini (2008)


CURA E MALATTIA DEL GENIO


La musica di Hugo van der Goes


Hugo van der Goes, Edward Boncle in adorazione della Trinità (part.), 1480 c.a


Parlerò di come ho immaginato la musica di un pittore che amo, curato col canto da quanto agli altri parve follia.

Ho sempre sfogliato con tenerezza i colori Hugo van der Goes, perché le biografie in bianco e nero riportavano solo qualche notizia strappata al silenzio prima dei suoi accessi di malinconia feroce, curati con musicoterapia in stile biblico. Restava segnata qualche traccia del successo di un artista inquieto - dovevi investire nel tessile, fiammingo, e sei rimasto prigioniero della trama di una tela: non avevi neanche trent’anni e, nel 1468, figuravi già tra i migliori salari per le decorazioni delle nozze fra Carlo il Temerario e Margherita di York. Decano della gilda dei pittori di Gent nel 1474, confermato nell’incarico fino al 15 agosto del 1476, ma, già nell’autunno del ’75, frate converso nel convento degli agostiniani presso Bruxelles: lo studio innamorato del nudo de "Il peccato originale" diventava la slavina umana alle falde della montagna nuda de "Il compianto di Cristo". I profeti aprono lo scenario della sacra rappresentazione dell’"Adorazione dei pastori" e poi quella profusione di ori nell’"Adorazione dei Magi", figlia delle ricchezze – e dell’arte – dei mercanti fiorentini. Il priore del convento, padre Thomas, chiude un occhio ma tu sei ossessionato dall’Antico Testamento, dal Vitello d’oro cui hanno consacrato la loro vita gli agenti commerciali dei Medici, come Tommaso Portinari. E il "Trittico Portinari" è il tuo capolavoro e, contraddizione dell’Arte che pretende la consunzione, forse lo termini in convento. Ora è il momento della musica: Gilles Binchois, "Amoreux suy" per il ritratto della giovane figlia del committente, Margherita, triste bellezza bionda accanto alla madre diafana;"De plus en plus" per la santa omonima col libro e il dragone e la Maddalena, per gli unguenti che non guariranno. La natura morta di fiori – gigli rossi e aquilegia, iris bianchi e garofani che alludono a tragedia e immortalità – e il covone di frumento che è eucaristia, “Betlemme”, letteralmente “Casa del pane”, per te amaro. Eppure convitati e angeli sembrano cantare la “Missa Ecce ancilla Domini” di Dufay, diretta dal mio René Clemecic, dall’”antico” Clemencic Consort sulla quinta traccia dell’ LP e del CD, quel maestoso finale del “Kyrie”. Poi, Hugo, ci dovrà essere quell’impassibile "Ritratto di donatore con S. Giovanni Battista" o "La morte della Vergine" mentre il tuo priore dispone il coro per cercare di rasserenarti, inventando la musicoterapia. Ma il pane non può essere spezzato su una tavolozza di colori. Alle mani giunte in preghiera deve essere strappato il pennello. La stessa cosa accade a Botticelli più o meno negli stessi anni.
Tu, come scrive il tuo compagno di noviziato Gaspard Ofhuys, vinci l’autodistruzione e la condanna di Dio ed esci dalla “frenesis magna” per morire, come si dice, “sano di mente”. Forse volevi diventare anche musicista ma non ne avesti il tempo. Il genio vuole provare tutto prima che sia troppo tardi. Ed io, insano per la tua bellezza, a più di mezzo secolo, non posso fare a meno di dedicarti il Planctus o la Déploration di Ockeghem sulla morte di Binchois.

“Omnia vincit amor”.




COMBATTIMENTO D'AMORE IN SOGNO FRA MANTEGNA E GIORGIONE

Enigmi di fine secolo nella Repubblica Veneta al culmine della potenza. Economia, politica, arte: il culto della partita doppia rivendica la dimensione del sogno. Venezia inaugura il suo percorso trionfale nella realtà onirica.

Hypnerotomachia Poliphili, “Combattimento d’amore in sogno di Polifilo (Colui che ama molte cose)”. Scritto da un principe o da un frate? Composto da un umanista innamorato di Platone e Neoplatonici che non rinunciò al piacere in vista di un Amore più grande.

Genio l’editore del libro: Aldo Manuzio (Anno Domini 1499).

Genio l’artista delle 169 xilografie. Forse Andrea Mantegna. Forse un grande artista ignoto ispirato da lui. E che ispirò Giorgione.

L’incunabolo più raffinato nasce primogenito già perfetto, come Iliade o Divina Commedia della tecnologia rivoluzionaria della stampa.

Avvertenza: Polifilo cerca, crede di abbracciare in sogno, ma in realtà perde Polia (“Moltitudine”). Parabola cristallina e complessa del Rinascimento. Presagio del peccato di hybris che la Repubblica pagherà con la sconfitta di Agnadello dieci anni dopo (cantata con toni più umili ma sempre sublimi dal Ruzante nel Parlamento).

Incubo, colonna altra della partita doppia del sogno, ma nello spirito già ferito dell’Umanesimo sempre ”Cum mensurata et digesta distantia et intervallo, cum gratiosi spatii compositamente” (Capitolo VII).




Quando dall'alto ci è dato speranza,
O tu c'hai efigia d'animal resibile,
Perviensi all'uom, lasciando il corruttibile.



Fontana perpetua e mobile, sormontata da arboscello di melograno d'oro
con foglie di smeraldo, frutti di rubino e fiori di corallo: simboli di rinascita.


O donne che ascoltate,
Deh végnave pietà del mio dolore!
Queste pene spietate,
Ben me le crede chi ha provato amore,
Pregàti Dio signore
Che finisca li pianti
E torni in canti
La mia malinconia.
Metamorfosi di sette ninfe in allori alla presenza del dio Giove 


Dàtime a piena mano e rose e zigli,
Spargeti intorno a me viole e fiori;
Ciascun che meco pianse e miei dolori,
Di mia leticia meco il frutto pigli.

Matteo Maria Boiardo


Commento musicale




LA NOSTRA CIVILTA' E' UN SOGNO AD ANGOLO RETTO _ CIVILIZATION IS A RIGHT ANGLE

The Screen
We start from the earliest evidence of abstract thought and conception of geometrical shapes bySapiens Sapiens individuals: the lozenges carved on red ochre (which is also the first cosmetic, and the Sapiens is sapiens twice because he is “homo cosmeticus”) found in caves in Blombos, South Africa, and dating from 70-75,000 years ago. Without these abstract shapes we would not have all our everyday’s square-angled structures (doors, windows, pictures, screens, etc.). Similarly, without the agricultural revolution of 10,000 years ago, and the birth of cities stemmed from the invention of bricks (or of squared stones), we would not have the culture of pictures. Moving from such an early start, we get to frescoes of Pompei, and specifically to a frescoed picture portraying Terentius Neo and his wife as they hold two important tools from the crucial technological revolution that was the invention of writing: a papyrus and a wax tablet (which in Plato’s Theaetetus is compared to our memory), the mother of the blackboard, grandmother of the scratch pad (great-grandmother of the iPad) and, even more importantly, forerunner of the codex (i.e. the modern, rectangular book). And the modern book will have as its main supporters nobody else than the Christians (for that reason mocked by the rich, snobbish Pagans who only used the “volumen”). The Bible, the book par excellence in the Middle Ages, was popularized through images (“Biblia pauperum”) in large cathedrals, where the speculative thought of theologians also found its way in enormous stained glasses like those in Chartres, nothing short of a screen populated by the figurations of Divinity (even though we do not agree with Bernard of Chartres’ statement that we are “dwarves standing on the shoulders of giants”: we were, are and will always be nothing but men). We are definitely soaked with these squared structures, from which it is hard to escape. If we must try, without necessarily take off to hypothetical celestial spheres, then we should do it in an ironic, neo-ludic fashion, like in a painting by 19th century Spanish artist Pere Borell: a kid who cheats every kind of frame. However, in the 20th century, the screen obtained its secular massified consecration with television, and playing with globalization is well worth a mass: a new Flemish mass that borrows materials from rock songs and, in the arts, finds its expression and “aura” in Nam June Paik’s Videoflag. And again, now that year 2000 is ancient history, isn’t there an aura, as well, around the Magnavox/Odyssey Pong console, or maybe the Arcades, entirely immersed into a cloud made of smoke, not from incense, but from the nostalgic player’s cigarettes?
The question is still open, and the push to go beyond and maybe shatter all screens is very much alive: from the squared shapes inspired by crystals – Cueva de los Cristales // Cueva de las Manos – and the quartz crystals of tectonic plates to the touch-screen to be pointed at with Michelangelesque fingers, the road is all downhill.





Lo Schermo
Partiamo dalla prima testimonianza di pensiero astratto e di realizzazione di forme geometriche da parte dell’homo sapiens sapiens: le losanghe su ocra rossa (tra l’altro primo cosmetico e il sapiens è due volte sapiens anche perché compiutamente “homo cosmeticus”) delle grotte di Blombos, in Sudafrica, datate 70-75000 anni fa. Senza queste forme astratte non avremmo tutta le nostre realtà domestiche ad angolo retto (porte, finestre, quadri, schermi, etc.). Come, senza la rivoluzione agricola, 10000 anni fa, e la nascita delle città grazie all’invenzione del mattone (o della pietra squadrata), non avremmo avuto la cultura del quadro. Inquadrando così il nostro percorso giungiamo agli affreschi delle domus di Pompei e a un quadro affrescato che ritrae Terentius Neo e consorte che reggono in mano due importanti strumenti figli di quella fondamentale rivoluzione tecnologica che è stata la scrittura: un papiro e una tavola cerata (e Platone nel “Teeteto” paragona a questa la nostra memoria), madre della lavagna, nonna del block notes (bi-trisavola dell’iPad) e soprattutto antesignana del “codex”, (cioè del libro rettangolare moderno). E il libro moderno col suo comodo formato avrà per principali diffusori proprio i cristiani (in questo sbeffeggiati dai ricchi snob pagani cultori del “volumen” di papiro). La Bibbia, poi, Libro per eccellenza del medioevo, sarà diffusa per immagini (“Biblia pauperum”) nelle grandi cattedrali dove saranno figlie del pensiero speculativo dei teologi anche le grandi vetrate, come quelle di Chartres,  vero e proprio schermo dove passare in rassegna le figure del divino (anche se dissentiamo da Bernardo di Chartres con la sua storia che saremmo nani sulle spalle dei giganti: siamo stati, siamo e saremo sempre uomini e basta). Siamo profondamente impregnati di tutte queste realtà squadrate da cui è difficile sfuggire. Se proprio vogliamo tentare, senza dover per forza decollare  alla volta di presunte sfere celesti perfette, allora tanto vale farlo, con ironia oggi potremmo dire neoludica, come ha dipinto nell’800 il pittore spagnolo Pere Borell: un fanciullino che si fa beffe di ogni cornice. Ma lo schermo ha raggiunto nel XX secolo la sua consacrazione laica di massa con la televisione e giocare con la globalizzazione val bene una messa: una  nuova messa fiamminga che pesca dalle canzoni rock e in, in aura artistica, si configura in  Videoflag di Nam Jun Paik.  E poi, ora che il 2000 è ben superato, mancano forse di aura anche la mitica console Magnavox/Odyssey di Pong  o le Arcade immerse nella nuvola non d’incenso ma di sigarette dei giocatori d’antan?
Il discorso è aperto e la volontà di andare oltre e - perché no? - infrangere ogni schermo divisore è ancora viva (dai cristalli ispiratori di forme squadrate - Cueva de los Cristales // Cueva del las Manos - e dai quarzi propulsori della tettonica a placche al touchscreen da puntare con dita michelangiolesche la strada è tutta in discesa).




THE MEMORY OF LYSIPPOS IS CROSS MEDIA
(2011)

Anton GoubauArtisti nel gregge mentre copiano la copia dell'"Ercole a riposo" di Lisippo, 1662

Apro il catalogo della mostra di Lisippo a Roma e delle 1500 statue che gli attribuisce Plinio il Vecchio non sembra essere rimasto nessun originale se non forse tre. Forse anche un piedistallo. Forse.
Leggi che aveva inventato una tecnica per forgiarne in serie in bronzo e guardi le copie romane in marmo sopravvissute allo scempio del tempo.
L’opera di Lisippo sono dunque soprattutto memorie riportate su papiri di cui non resta traccia, da schiavi senza nome, tramandate da pergamene che hanno avuto in sorte, specie se latine, di non essere raschiate per far posto a relitti ricomposti di altre culture in una nuova. E qui penso alle commedie di Plauto e alla loro fonte principale: il palinsesto ambrosiano. Lì stavano scritte, prima di essere raschiate e far posto – per ragioni di risparmio? Per una condanna morale? Più il risparmio che la condanna, sembrerebbe – ai Libri dei Re della Bibbia, anch’essi frutto di una scelta (quasi nessuno di questi sovrani fa bella figura anche perché i regni erano due, la storia a noi pervenuta scritta da uno solo e poi il concilio di Calcedonia mille anni dopo voleva  separare il grano dal loglio, i cosiddetti apocrifi). E le commedie, per  tornare in scena e sulla carta avevano dovuto attendere altri mille anni e un cardinale, Angelo Mai, che con una spugna imbevuta di acido gallico aveva fatto riaffiorare per un po’ l’originale. Poi  la chimica, altro segno dei tempi, aveva di nuovo reso tutto quasi illeggibile e c’era voluto l’amore d’acciaio di uno studioso prussiano, Wilhelm Studemund, perché tornassimo a ridere su quelle pagine. Ci aveva rimesso la vista. “Se non ti amassi più dei miei occhi” aveva postillato a sua volta citando Catullo. Quando lo lessi la prima volta mi tolsi gli occhiali e piansi.
Torno a cercare d’intravvedere un originale di Lisippo su una moneta romana. Cerco una statua che non c’è più passando con moto bustrofedico  dalla foto riprodotta alle righe di un testo stampato da sinistra verso destra per la gioia di De Kerckhove (“Dall’alfabeto a internet”) e mia, da un JPEG di Google Immagini a una pagina web di Wikipedia a cui non so se fare aggiunte o meno. La statua di Alessandro Magno che alza gli occhi al cielo cercando il sole è a pagina 401 e fa il paio con la mia ricerca di una presa della corrente perché ho dimenticato ricaricare il portatile. Da una serie di affreschi della leggenda di Alessandro Magno riportati alla luce nel castello di Quart (AO) ebbe origine l’idea di fare una mostra su videogiochi e beni culturali ad Aosta nel 2009.
Ma dov’è l’opera antica?
Ascolti Paolo Moreno, emerito esperto dello scultore greco, dal canale che ha in Youtube, ne leggi l’intervista nell’archivio on line del “Corriere” e speri che abbiano davvero un fondamento, un basamento anche le attribuzioni al ”Pugile delle terme”, all’”Eracle” di Chieti, all’”Atleta” pescato al largo delle mie Marche e finito al Getty Museum di Malibù.
Ma anche non fosse così, c’è una storia di tecnologia che si fa arte e da una perfezionata meccanica di calchi in gesso moltiplica le statue in bronzo col sistema della fusione indiretta, si riflette in antichi specchi di metallo nel marmo delle copie romane e trapassa, sempre più impalpabile, nelle copie di papiro decomposto, affiora dalle pergamene raschiate per farsi più evidente nelle stampe d’epoca ormai ingiallite fino al catalogo del ‘95 acquistato remainder, all’”Eros a Tespie”  della pagina “Lisippo” in inglese di Facebook.
Vorrei twittare con Posidippo il dialogo in forma di epigramma che aveva dedicato alla statua del “Kairos”, è il momento:


“Chi lo scultore e da dove veniva?”
“Veniva da Sicione”.
“E come si chiamava?”.
“Lisippo”.
“E tu chi sei?”
“Sono il Tempo che controlla ogni cosa”.
Il tempo e lo spazio di una realtà aumentata dove ogni volta lo studio scientifico dell’arte è anche il sogno di una cosa: Michelangelo che non vuole completare il torso dell’Ercole Farnese e poi elogia le gambe della statua rifatte da Guglielmo della Porta a fronte di quelle originarie appena ritrovate. In realtà copie romane come l’Apollo del Belvedere, di altro scultore, pietra angolare di Winckelmann e della storia dell’arte contemporanea.
Tutto un mondo del doppio con cui ogni volta cerchiamo di definire la nostra identità tentando di inquadrare un passato che sfugge.
Come in questo momento di fronte a questa schermata, dove il ritratto di Aristotele dovrebbe essere l’ennesima copia del padre del Virtuale, Alessandro a cavallo un videogame (“Sparta II”) e l’Apoxyomenos era forse già negli Hyper Sports della Konami.
Crossmedialità antica.




ALESSANDRO MAGNO IN VALLE D’AOSTA
IL CASTELLO DI QUART



Come uscito da un quadro di Mantegna ma concretamente piantato a guardia dell'antica "Via delle Gallie", a quattro miglia romane da Aosta, il castello di Quart domina anche l'autostrada assorto nel suo trono di montagna. Fondato intorno al 1185 dai Signori di Quart (già Signori della Porta di Sant'Orso nel capoluogo), passato di mano più volte, vissuto fino alla metà del secolo scorso, ha più la storia e l'aspetto di un corpo vivo, ricco di tutte le sue età e stratificazioni, assopito come una specie di Endimione di pietra.
Ispirato dagli articoli apparsi sul Bollettino della Soprintendenza, in un giorno di apertura straordinaria dei lavori di restauro ho la fortuna ammirare dal vivo gli affreschi del donjon ( XIII-XIV sec.)...
Stanno emergendo dalla coltre di scialbo che li ha coperti per più di mezzo millennio a calibratissimi colpi di laser - ti sembrano quasi quei piccoli schiaffi che si danno ai dormiglioni - e quanto comincia a stamparsi nei nostri occhi è una specie di puzzle delle meraviglie dove si incrociano frammenti e destini di Alessandro Magno e Sansone, eredità grecoromana e giudaicocristiana rivestite cogli abiti dell'età di mezzo per Giacomo III di Quart.
Il condottiero macedone, di leggenda in leggenda ormai diventato anche modello di vita cavalleresco, è giunto ai confini del mondo, in un'India favolosa dove ci si nutre di opobalsamo e incenso. Sta ascoltando l'oracolo degli Alberi del Sole e della Luna, carichi di teste umane secondo la tradizione orientale dell' Albero Secco: "Alessandro, invincibile in guerra, tu potrai, come hai chiesto, essere il solo signore del mondo: ma non rientrerai più vivo in patria". Poi a riflettere non è più il re, ma l'uomo: "Sentendo queste parole io rimasi sbigottito, colpito nel profondo dell'anima: fui dispiaciuto d'aver portato con me tanti uomini fin laggiù, a quegli alberi sacri".
Si tratta di brani tratti dall'incantevole ma fittizia "Lettera di Alessandro ad Aristotele", testo di grande diffusione dalla tarda antichità fino a tutto il medioevo (fra i prediletti dalla scuola filosofica di Chartres). Il sovrano descrive al maestro lo stupore e il prezzo della sua gloria terrena: la morte ancora giovane (alla fatidica età di 33 anni). E' ora di tornare indietro. E' una lezione di umiltà.
Ecco allora spuntare sulla parete accanto i resti di una rappresentazione che non sembra avere nulla a che fare con il viaggio verso l'ignoto: quella, tutta quotidiana, del Calendario. Felice contrasto, raffigurazione di grande successo all'epoca, ma quale il legame?
Il nodo di Gordio può essere reciso se facciamo riferimento a un altro bestseller di quei tempi, il poema "Roman de Alexandre" di Alexandre de Paris (XII sec.), il padre del verso principe della letteratura francese: il dodecasillabo "alessandrino". Infatti alla strofa 95 troviamo descritto l'interno della fantastica tenda del Macedone: "I dodici mesi dell'anno vi sono tutti illustrati/ Così come ognuno mostra quel che sa fare/ ... E sopra tutto è dipinto l'anno nella sua maestà". Proprio come nel più antico dei due mosaici del coro della cattedrale di Aosta (seconda metà del XII sec.), in forma di signore elegante e multicolore che regge nella destra il sole e nella sinistra la luna contornato dai medaglioni dei mesi (senza contare che anche nel mosaico più recente, inizi XIII secolo, la raffigurazione di animali fantastici insieme al Tigri e all'Eufrate potrebbe essere anch'essa retaggio di quelle fantastiche avventure).
Tutto sembra proprio tornare. Come il ciclo invincibile del tempo, a cui anche i grandi devono sottostare. Ritorno all'ordine, ruota che gira implacabile, ma anche vita che torna a sbocciare ogni primavera, naturalmente simbolo di rinascita spirituale.
Ecco perché quindi anche Sansone, anch'esso già presente in Valle in un altro splendido mosaico del XII secolo, quello  della chiesa aostana di Sant'Orso (guarda caso), mentre spalanca le fauci al leone cerchiato dall'enigmatica scritta palindroma "Sator arepo tenet opera rotas". Ma cosa c'entra col resto questa lotta uomo/animale, quest'altra impresa del giudice veterotestamentario rivisto e affrescato per un nobile cattolico? C'entrano la nascita dell'eroe (per volontà divina da una madre sterile) e la fine apparente della povera fiera, che, al contrario del suo simile greco di Nemea, una volta morta, narra il testo biblico dalla sua carcassa prendesse vita uno sciame di api con tanto di miele. Quelle api, simbolo di castità e di vita che procede dalla morte fin dalle "Georgiche" di Virgilio e dai "Fasti" di Ovidio ("una sola anima uccisa ne generò mille"). Si tratta della famosa (e famigerata) "generazione spontanea", teorizzata proprio da Aristotele, contro cui la scienza moderna dovette combattere più di due secoli prima che gli esperimenti di Pasteur ne avessero la meglio. Ma restando negli orizzonti dell'arte medievale i conti - e soprattutto le simbologie - tornano (anche se dovesse comparire, come sembra, una Dalila che fa recidere le sette trecce all'eroe addormentato): la gloria dovrà tenere conto dell'umiltà per aspirare alla vera rigenerazione, quella spirituale.
La mente spicca l’ultimo volo passando dalle Alpi al Caucaso, facendo riaffiorare alla memoria i versi che il poeta azero di lingua persiana Nezami (1141-1209) fa dire ad Alessandro morente: "Da questa terrena fortezza m'ha per sempre liberato il cielo,/ e possano tutti infine esserne come me liberati".

Siamo usciti. Lungo le mura cerco di scorgere a oriente la necropoli neolitica di Vollein, poi fisso il Monte Emilius che ci sovrasta a fronte e plano fino a comprendere il lato occidentale con le gigantesche Acciaierie Cogne.
Il nostro viaggio si conclude nel candore estremo di una cappella barocca fresca di restauro, ormai tutta oggetto da museo. Fuori, nel parco, tra un acero e un faggio centenari immagino i contadini che hanno abitato per l’ultima volta il castello, rivedo gli interruttori di ceramica nel primo corpo di fabbrica.
A loro sono dedicati i miei versi di congedo.



A tutti i contadini che hanno abitato castelli

Cos'è un castello quando ci vivi e il tuo presente non è fatto di memoria ma lavoro e la sera sei stanco e accendi la luce, non le torce dei servi ma l'interruttore dell'uomo libero, quella specie di uovo bianco di porcellana poi plastica per cui tanti hanno dato la vita?

E tu, piccolo uovo di Piero in un castello del Mantegna, illuminavi le mura ridipinte, gli infissi di porte e finestre nuovi a confronto di bifore trifore per gente in armatura.

Tu brandisci solo un forcone, della pietra non hai il male ma il sonno, spenta quella preziosa lampadina, non sogni il passato ma un futuro migliore.

Io passo oltre le prime mura e mi stanno sotto i piedi.
Per cunicoli ben restaurati sono nelle tue stanze, che si attraversa distratti dall'antico.
Anch'io vado a vedere il donjon perché c'è dipinto Alessandro Magno che parla con l'Albero del Sole.



P.S. La visione di questo vero e proprio wargame del medioevo, nel 2008, con la sua arte popolare continuamente arricchita di nuovi dettagli e reinterpretata da letture a diversi livelli, avrebbe ispirato anche il mio successivo approccio alla nuova estetica del videogame e quindi le mostre che avrebbero portato NEOLUDICA alla Biennale di Venezia: il futuro ha radici antiche.




IL VIDEOGAME COME ALTERNATIVA ALL'EFFIMERO
DEATH OF THE POSTMODERNISM: NEW LIFE FOR THE VIDEO GAME!
(2012)


Il postmoderno è morto, finalmente, e il gioco si è fatto grande: è diventato videogioco.
Ci sta osservando e pretende da noi interazione, nuove domande, nuove risposte: non accetta il game over della storia predicato negli ultimi decenni.
C’è tutta una Realtà Aumentata, non solo in termine tecnico, che lo ha investito, ci ha investito e pretende un approccio diverso dal mero consumo, che non basta più.
C’è fame di nuovi livelli interpretativi a fronte di una formidabile emersione di forme e contenuti in un così breve spazio di tempo, perché bisogni e aspettative in numero enorme si sono accumulati al di qua e al di là dei novanta gradi dello schermo.
Immagini e prospettive sono arrivate ad evocare visioni originali a 360° di quanto ci sta intorno rimettendo in discussione concetti come “realtà”, “essere umano”, “natura”. E questo è quanto chiamiamo “arte”.
E’ tornato il tempo e la voglia di togliersi i paraocchi e guardare a testa alta indietro e avanti: oltre l’effimero.
Costruire connessioni, rivelare la ricchezza di forme e contenuti e riconnettere la trama del presente al cammino della storia per avere prospettive fondate e originali per il futuro, senza pretese di verità immediate, ma coscienti che quanto definiamo “finzione” è parte sostanziale dell’ homo cosmeticus, cioè del Sapiens Sapiens, che dà vita a nuovi mondi e reinterpreta continuamente il concetto di “natura”.
L’assemblaggio di elementi effimero e atomizzato della vulgata postmoderna sta crollando sotto il peso della sua inconsistenza e, ironia della storia, proprio da un oggetto di largo consumo consapevole della sua finzione come il videogioco – Alice è uscita dallo specchio – scaturiscono nuove proposte di indagine a tutto campo sulla realtà. Si tratta infatti di un medium che, diversamente dai precedenti, non nasce da una pretesa di verità o di oggettività e, proprio per questo, è già maturo per farsi troppe illusioni. Il suo meccanismo di base è l’interazione, è dinamico, è già un passo in avanti per diventare, qualitativamente, interpretazione.
Il giocatore nei confronti del videogame è quasi come un artista davanti a un’opera: non si accontenta di un godimento passivo, ma cerca continuamente di intervenire nella mutazione di quanto ha di fronte.
Ogni interazione, un’interpretazione, una messa in gioco: questa è la scommessa per il futuro. Abbiamo davanti ancora un quadro e dobbiamo porci alla giusta distanza di una prospettiva brunelleschiana e di una kinect per scardinare l’autoreferenzialità dell’arte contemporanea e dei compartimenti stagnanti della società.
Distruggere la gabbia in cui sono stati confinati i capolavori del passato – nella mentalità dominante e rassegnata l’antico non è mai stato vecchio quanto oggi – non potrà che avere ricadute positive ridando energia vitale al dialogo serrato e da vero simposio tra diverse epoche e culture, fra arte e tecnologia, simbiosi inscindibile: abbiamo trovato un nuovo punto d’incontro.
La densità storico-critica di NEOLUDICA intende per questo porsi all’avanguardia per un lungo lavoro di scavo e di festa (è tremendo non trovare in italiano un termine gioioso che non implichi imbecillità o peccato ma ci proviamo), un lavoro che vada oltre il diffuso senso di confusione alla ricerca di originalità e autenticità anche per ciò che ancora infelicemente definiamo “virtuale”.
Nulla è più serio di questa messa in gioco.

Delete©, Extreme Pong (Nothing vs Perfection), 2012
Commento musicale: Heinrich Ignaz Franz von Biber, Battalia a 10 in D major

QUANDO IL GREGGE E' ARTE _ WHEN THE HERD IS ART
Arcadia & Arcade Art from "Baaa Studs", Extreme Shepherding




ZURBARÁN A FERRARA, QUEVEDO IN SOGNO

Da un lato era giovane e dall’altro era vecchia.
A volte camminava piano, a volte velocemente.
Ora sembrava esser lontana, ora essere vicina.
Le chiesi chi fosse e lei mi rispose: “La morte”.

Francisco De Quevedo, Sogni e Discorsi


Commento musicale I Girolamo Frescobaldi, Toccata VIII, Libro I, clavicembalo


Francisco de Zurbarán, Natura morta, 1630

Francisco de Zurbarán e Ferrara non hanno in comune quasi nulla se non una data.
Il 1598, quando nasce il pittore e la città e la Spagna perdono la loro grandezza: la prima finendo assorbita dallo Stato Pontifico, la seconda con la morte di Filippo II e tre bancarotte.
Non molto. Certo, fare la stessa esposizione a Hong Kong sarebbe stato ancora più surreale (meno a Macao, Casinò Venetian permettendo), ma le mostre, si sa, non contano tanto per i singoli quadri quanto per l’insieme delle opere in simbiosi con tutto l’apparato multi e cross mediale che fa da cornice.
Sono, in sintesi (anche chimica), delle installazioni, arte contemporanea. Quindi vanno bene dappertutto.

Questo non significa che il restauro delle singole opere non debba essere condotto col massimo rigore filologico, né che allestimento e catalogo non debbano cercare di ridare vita a una dimensione storica, tutt’altro. Ma essere coscienti, sempre, che la complessità di tutto questo travaglio corrisponde alle aspettative consce o meno di restauratori e allestitori in carne e ossa, che lavorano confrontandosi con una tradizione di fedeltà all’originale che data sì e no due secoli, quando prima, tranne rare eccezioni, neppure ci si poneva il problema.

Insomma, non c’è niente di male: il rapporto col passato non può che essere straniante. Dopotutto state leggendo un blog impalpabile e vedrete dei file Jpg.
Inoltre fare oggi una mostra di Zurbarán in un convento, luogo di elezione dell’artista, non ricreerebbe che in minima parte la fatidica “aura” delle origini – e nemmeno la sua puzza e il fanatismo che solo una grande arte riuscì a sublimare.
Un’arte ufficiale, benedetta da Stato&Chiesa, ma sentita fino al midollo. Noi oggi per questo siamo disposti a perdonare Damien Hirst, figuriamo quindi Francisco e i suoi francescani.

Francisco de Zurbarán, San Francesco (1639, 1645, 1635)

Incenso consigliato: i versi di Giovanni della Croce.

O fiamma d'amor viva,
Che sì dolce ferisci
Nel centro dell'alma, ove s'interna e cela!
Or che non sei più schiva,
E che lo vuoi, finisci:
5
Rompi del dolce incontro omai la tela!

Profumo: la prosa di Teresa d’Avila.

Se i rapimenti mi fanno uscire di me per la gioia, la mia anima viene colta da sospensione anche per un dolore molto forte e rimango priva di sensi. (Libro delle relazioni e delle grazie, 15).


Anche visitare le uniche tele rimaste in loco, al Monastero di Nostra Signora di Guadalupe, senza la percezione di spazio e tempo tipiche dell’età barocca è illudersi, una splendida illusione, una “dissimulazione onesta”, ma pur sempre una finzione, come chi ripete a piedi il cammino di Santiago senza feudatari, Inquisizione, epidemie, denti cariati.


Francisco de Zurbarán, Visione di San Pietro Nolasco, 1629

¿Qué es la vida? Un frenesí.
¿Qué es la vida? Una ilusión,
una sombra, una ficción,
y el mayor bien es pequeño;
que toda la vida es sueño,
y los sueños, sueños son.


Pedro Calderón de la BarcaLa vida es sueño


Dicevamo, la mostra a Ferrara… Beh, è una bella cartina al tornasole per mostrare le tenebrae del pittore spagnolo, esaltate dal chiarore del  capoluogo emiliano. Perché il Secolo d’Oro della cultura spagnola fu anche il secolo della sua ombra, la grande ombra politica che sarebbe scesa sulla penisola iberica. Capolavori proiettati come splendidi fuochi d’artificio dalle sconfitte dei suoi eserciti, strappati al “magazzino in cui si custodisce il buio delle notti” (ancora Quevedo, ancora Sogno della morte).


Commento musicale II Tomás Luis da Victoria, Tenebrae factae sunt


Si può citare come madre l’arte di Caravaggio, che arrestato proprio dagli spagnoli perse l’ultima fatidica nave per Roma, e padre il Rinascimento italiano riflesso nelle opere degli artisti della corte multietnica di Carlo V, ma tanta originalità sarebbe stata impossibile senza lo strano connubio fra il nazionalismo castigliano nascente e la rivoluzione estetica di un pittore straniero come El Greco.
Eccolo, “Il sogno di Filippo II”.

Dominikos Theotokopoulos El Greco, Il sogno di Filippo II, 1600

E il doppio del sogno di Filippo II, la morte dell’artista cantata da Góngora:

Tanta urna, a pesar de su dureza,                 Un'urna così insigne, benché dura,
lágrimas beba y cuantos suda olores            lacrime beva e quanti essuda odori
corteza funeral de árbol sabeo.                     funebre scorza d'albero sabeo.

Il sogno che si sarebbe trasformato nell’incubo della restaurazione aristocratica seguita alla morte del re, nonostante i tentativi del Conte-Duca d’Olivares, potente primo ministro di Filippo IV (quello del Manzoni dei Promessi sposi anche se, per l’arte del Secolo d’Oro, sarebbero più adatti certi passaggi degli Inni sacri).
Ecco allora che forme e contenuti del Barocco spagnolo vengono a configurarsi come un grande esorcismo contro la decadenza.
Dalla vena popolare sanguinante di Jusepe de Ribera nella Napoli dei vicerè

Jusepe de Ribera, Il bevitore, 1637

al perfetto e futuribile ritratto in piena luce di un’epoca nelle tele di Velázquez, il Raffaello spagnolo,

Diego Velázquez, Ritratto del Conte Duca di Olivares a cavallo, 1634

all’Agnello di Dio pronto per essere macellato: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice”.

Francisco de Zurbarán, Agnus Dei, 1640

Fra i primi capolavori del Nostro c’è lo splendido, prostrato San Serapio, un santo medievale inglese, certo scelto per propagandare la solidarietà con i cattolici anglosassoni emarginati ma quanto mai vivo nella sua trasumanata sofferenza, preludio a uno di quei martìri atroci (gli furono strappati gli intestini con un argano) di cui si nutriva tanto teatro barocco (pensiamo solo alla Tragedia spagnola di Thomas Kyd, al Tito Andronico di Shakespeare o all’Aristodemo del nostro Carlo de’ Dottori).
Ma Zurbaran allude, non indulge mai in dettagli truculenti. La sua è una religiosità visionaria ma sommessa. La luce si sprigiona dalla visione aperta nella tela come una piaga. Che non sanguina più.
E’ il gioco divino che illumina due parallele che si incontrano nel San Pietro Crocifisso appare a San Pietro Nolasco.

Francisco de Zurbarán, Apparizione dell'apostolo San Pietro a San Pietro Nolasco, 1629

Poi, negli anni ’30, il mistico sembra trasformarsi in creatore di moda. E’ l’epoca di un mirabile defilé di sante a cui si è certamente ispirato Almodovar nel suo Entre Tinieblas. Eccovi quindi una scelta di tre sacre Grazie dall’inquietante bellezza impassibile con tanto di strumenti del loro martirio e una vezzosa borsetta. Quella di Santa Margherita sembra appena uscita da una bottega del commercio equo e solidale. E non a caso: l’America Latina fu una meta privilegiata per la produzione in serie della bottega del pittore.

Francisco de Zurbarán, Santa Casilda (1635), Santa Margherita (1634), Santa Marina (1650)

In parallelo a questa metafisica trasfigurata in corpi sognanti si apre la stagione delle “nature morte”. Il termine italiano, naturalmente, non rende giustizia a questa vera e propria arte da mangiare. Anzi, da transunstanziare.

Francisco de Zurbarán, Natura morta, 1633

E l’elenco sarebbe ancora lungo.

Ma non servì al genio. Che morì povero e dimenticato in un lontano 1664. Nel crepuscolo del regno di Filippo IV. Prima della lunga notte triste dell’infelice Carlo II.


Alla Vergine sfugge una lacrima.

Francisco de Zurbarán, Cristo e la Vergine a Nazaret, 1640




IL BISTURI E L'ARCHITETTO

(1995)

[...]


Una casa, due donne per Frank Lloyd Wright
(Frank Lloyd Wright between Petrarch and Anne Bradstreet)


Riprese del Bear Run prima della costruzione della “Casa sulla cascata”  di Wright. Commento musicale: Charles Ives, "The Unanswered Question"

  
Voce di Wright - (Come un respiro di vento tra le fronde)
Kaufmann
Un vero signore
Amico di Roosevelt e del Welfare State
Mi farà costruire la sua casa sulla roccia

Cadrà la pioggia
Strariperanno i fiumi
Soffieranno i venti
Ma essa non cadrà
Perché avrà messo radici nella pietra

La Casa già costruita vista dal di fuori.

E’ vero
Occorre una certa manutenzione
C’è una bella umidità
Non è proprio l’ideale per chi soffre di reumatismi

Immagini del torrente.

Laura - (Soavemente, sempre ad occhi chiusi, sdraiata, recita Petrarca)
“Chiare, fresche e dolci acque”

Anne Bradstreet (aprendo improvvisamente gli occhi)
Thou hast a house on high erect
Fram'd by that mighty Architect,
With glory richly furnished
Stands permanent, though this be fled”

"Sta in alto una casa eretta per te,
Costruita da quel possente architetto,
Adorna di gloria sontuosa
E che resiste al tempo: a questa fuggi".

Immagini delle dighe della Tennessee Valley Authority.


[...]


Le Corbusier, Cappella di Notre-Dame-Du-Haut: resurrezione e ferite

Noi costruiamo per sbattere la testa
Non facciamo che aprire squarci
Da queste ferite il mondo non è più lo stesso

Kyrie
Pietà
Rondanini
Corrosa dalle radiazioni
Il terzo braccio di Cristo, quello strappato
Torre di Notre-Dame-Du-Haut
“Sentinella, a che punto è la notte?”
“Sentinella, a che punto è la notte?”
“E’ venuto il mattino ed è notte”
Il volto di Notre-Dame-Du-Haut:
Ritratto di Voltaire colpito da radiazioni
Il tetto:
Il tricorno di Voltaire
Il naso di calcestruzzo, deformato, confitto nel cranio, che affonda nella terra
Le narici cubiste a pelo d’erba, devastate
L’arca di Noè
Che non riuscì a salpare da Nagasaki

Gloria
In excelsis
Alla parte più alta di cielo non raggiunta dal fungo
Amanita Muscaria
Amanita Muscaria
Frank Lloyd Wright,
Interno Uffici Johnson Wax a Racine: esile fungaia
Hiroshima: fungo atomico

Notre-Dame-Du-Haut: ventre squarciato
Rembrandt, “Lezione di anatomia del dr. Joan Dayman”, in preda al panico
Estrazione del cervello dal cranio di Modulor
Pulizia della cassa toracica di Modulor: tenebrae

Notre-Dame-Du-Haut: panche, altare, selva tagliente, singhiozzi di luce
Colpi di bisturi sul muro, nel muro, ovunque

Et lux fracta est
    E la luce fu frantumata. 



Foto di Sanyam Bahga

[...]







I TRONI DI LILLIPUT
 In occasione di una mostra di modellini di “Sedie d’autore” alla Triennale di Milano
(1996)

[...]

Sedia Mackintosh (1903)

A biblical relax

Charles Rennie Mackintosh, Sedia, 1903

Mackintosh col suo schienale a scala creò un relax biblico.
Un nuovo patriarca, un nuovo Giacobbe vi si sarebbe appisolato dopo una lunga giornata d’affari, il bureau sazio di babeli di carta.
Sognando un nuovo paradiso, un nuovo saliscendi di angeli: il vaudville, i grandi magazzini.
L’opera è del 1903 ed è tutta ottimismo: la sedia dei papà del nuovo secolo.
E’ ancora di legno. Ma punta verso l’alto, è come tesa verso altri materiali: l’inizio 
di una, di molte metamorfosi.

[...]



Mies van der Rohe, Le Corbusier

Sedie per guardare in alto



La struttura in metallo della Poltrona Barcellona ricorda i sostegni degli astrolabi, dei mappamondi rinascimentali.
Sopra: piccole, comode dune in pelle.
In questo accogliente deserto sprofonderebbe volentieri un profeta, perché lo sguardo è sempre obbligato verso l’alto.
Lo scheletro portante è quello dei futuri grattacieli.
Mies van der Rohe e Philip Johnson evocano il Dio dei Dettagli nella piazza del Seagram Building.
Le Corbusier con la Chaise longue invece offre un dolce quasi asimmetrico relax a Modulor, quando si stanca di essere la misura di ogni cosa.
Come gli antichi dei tutti umani abbandonavano la notte le architravi dei templi - di cui erano il metro - rifugiandosi nei penetrali, nelle celle, così, alla luce del giorno, delle finestre luminose di Villa Savoye, Modulor si lascia dolcemente irrigare dal sonno, dimentico per attimi, eterni, dello sforzo immane dei pilotis.




Prova a sederti nell'Autunno Caldo _ Cul de Sac


Il Sacco di Gatti-Paolini-Teodoro non è solo la trappola infernale di Fracchia, ma una specie di Monte Sinai del “miracolo economico”.



Mosè ne è appena uscito ed è stato travolto da un'ondata di scioperi.
E' l'Autunno Caldo e questa massa informe sembra sgonfiarsi sotto i primi colpi dell'imminente crisi energetica.







ARCHITETTURA E POESIA NELLA SVIZZERA ITALIANA



Mario Botta/Giorgio Orelli
Mario Botta Chiesa di Santa Maria degli Angeli, Monte Tamaro - Giorgio Orelli, Maria che nel suo dolce stile



Luigi Snozzi, Livio Vacchini/Antonio Rossi
Luigi Snozzi, Livio Vacchini, Casa Snider, Verscio - Antonio Rossi, Deliberazione




Aurelio Galfetti/Fabio Muggiasca
Aurelio Galfetti, Torre degli ascensori, Castelgrande, Bellinzona - Fabio Muggiasca, Orientatio







IL CASTELLO DI GRESSAN (2012)


Du coeur ardent, en quoi que ce soit,

Christine de Pizan




Calibrando il passo del Vangelo e la vista delle nevi eterne con la fame tutta terrena di potere i signori de La Tour de Villa costruirono sulla roccia una torre a guardia dell’antica Via delle Gallie. Pietra su pietra cercarono di avvicinarsi al cielo nel microcosmo ameno di Gressan, dove i secoli avevano coltivato un villaggio nei campi di un proprietario romano, Graziano o Gracco.
Forse il modello fu la Torre de La Plantà, verso il confine di Jovençan, se confermata la matrice con le torri di Augusta Praetoria – e i La Tour nel 1200 erano proprio vicedomini di Aosta.
E Anselmo d’Aosta era forse originario di Gressan: una casa-forte del X secolo nella frazione di La Bagne è conosciuta col nome di Torre di Sant’Anselmo. “Precibus et operibus”, il motto dei costruttori del castello, c’è chi dice fosse opera sua. E “con preghiere e opere” – e soprattutto corvées – irrigando il tutto con sudore contadino, XII o XIII secolo che fosse, si cominciò a solleticare sempre più da vicino il paradiso. La porta della torre piccola e stretta come quella della salvezza, a più di sette metri di altezza, il corpo dell’intero edificio diviso in tre parti con una piattaforma di piombo come tetto: il belvedere che sta in cima come una dura conquista dopo tanti peccati di superbia.
“Sentinella, a che punto è la notte?
E’ venuto il giorno ed è notte”
Quanto  durò al cospetto di quell’eternità così bramata la saga dei La Tour?
Più o meno cinque secoli, fino al 1693, quando Grat Philibert morì e si ricongiunse alla malta dei padri. Nel frattempo, nello splendido ‘400 valdostano, era stata portata a compimento alle spalle della torre la nuova parte abitata, quinte di teatro degne di uno Scamozzi. Le mura, un tempo agguerrite e minacciose, si misero il cuore in pace, giocarono a backgammon e si ubriacarono come le guardie del castello di Issogne, fino a crollare in un sonno profondo, franando in buona parte su se stesse: tutta buona pietra per recintare vigne o simili.



Passato di mano in mano come un ingombro - nel 1800 ci passano accanto i turisti inglesi tutti vogliosi di pittoresco (il grande Turner però gli preferisce le rovine più anglosassoni di Châtel-Argent) -, il nostro monumento, per quanto ancora in piedi, diventa Tour des Pauvres, proprietà della Cassa dei Poveri della parrocchia di Saint Laurent ad Aosta. Tanta era stata l’ascesa quanto la caduta, ma se l’ascesi spirituale ha un senso, non stupisce certo la sua rinascita ad opera di un monsignore, Auguste Duc, monsignore e storico, che lo restaurò e ne fece la propria residenza estiva. Dopotutto sul suo stemma non c’era scritto “Duc in altum”, “Conduci in alto”? Però le mura che guardavano a nord e a occidente non le ricostruì. Forse in ossequio a Giosuè e all’evidenza della fragilità umana. Forse perché ancora intriso di estetica romantica, perché è così sublime perdersi nella natura dagli squarci. Cosa risuonava in alto, nella testa di monsignor Duc? La “Sinfonia fantastica” o “I Troiani” di Berlioz? Bisogna passare ancora per tanti Adagi per giungere a un Allegro finale, a oggi.
La contemplazione delle rovine prelude al restauro. La presa di coscienza del passato è un prendere per mano chi ci ha preceduto e ha voluto costruire oltre il tempo, stringere quella mano sporca di polvere e colore e piena di calli come sanno essere le mani degli artisti. Come fece Ernesto Chanu parlando di quel gioiello strano che è la chiesa della Madeleine, laggiù: la Maddalena che chiese sostegno ai suoi peccati di statica a un contrafforte tanto possente quanto di grazia circolare, come le sfere celesti.



Termino leggendo da una fotocopia di un suo articolo che mi hanno dato lo storico Marco Gal e le radici del salice che ha nel giardino. Loro sanno bene quanto sia fertile quanto sta sotto la patina del tempo: “ Nessun nesso apparente sussiste fra la chiesa e il non lontano castello, eppure lo sguardo di chi osserva non può evitare di correre dall’uno all’altro edificio, di collegarne nel pensiero l’esistenza, in quanto, nel giallastro colore del tufo, nelle ardesie nere vellutate di muschio, nelle sobrie forme quadrate, sente che entrambe le opere sono frutto di una medesima epoca, sintesi pietrificate di quelle che dovettero essere qui le massime religiose e sociali della vita medievale”.






TRANSUMANZE ARCANGIOLESCHE


Leoni e altre metamorfosi feline nelle tavole di Samuele Arcangioli
(2004)

E' un dato di fatto che Samuele Arcangioli porti al pascolo i suoi leoni pur essendo di temperamento un tenero agnello, realizzando in questo modo il detto biblico che vuole questi due esseri dotati di anima, perché "animale" questo vuol dire, felicemente insieme nel giorno definitivo.
Così come Abramo da Ur dei Caldei a Varese, da Viale Valganna guida con passo felpato le anime feline verso il Cavedio attraverso un percorso di luoghi simbolici.
In principio è la pizzeria Capri dove i re assiri, persa ogni bellicosità, fanno solo uso di forchetta e coltello per una pizza ai pomodorini, sfere passate poi in occidente a condire l'essere di Parmenide, perfette come il volto delle pantere che non cacciano più ma si affidano a Samuele, perché è sensibile, è un artista, ha un nome ebraico e ora c'è pace, finalmente è sceso il sipario su millenni di guerre e la tela è pronta per essere dipinta con nuovi colori. E allora anche Tiberio, il padrone romano della Capri, non porterà più i suoi leoni alla macelleria dei giochi del circo ma li affiderà ad Arcangioli, perché ha un cognome soave che rappresenta il meglio della nuova religione dell'impero.
Sem ringrazia e sulla sua arcamobile carica tutta questa animalità sognante.
Fino alla tappa successiva: i giardinetti di Viale dei Mille. E lì, mentre bestie e pensieri pascolano, al pittore torna in mente il "1000 e non più 1000" dell'Apocalisse e il trono di Dio, davanti al quale sta il primo vivente, che ha proprio forma di leone. E quindi le incisioni di Durer e il conseguente Rinascimento dello spirito nella forma della felicità carnale che oggi ben conosciamo,sperimentiamo e sperimenta lo stesso Arcangioli ben contento di essere corpo che soddisfa i sensi.
Ma anche l'intelletto, perché proprio lì accanto c'è un'edicola di giornali e Sammy ha sempre fame d'ispirazione,per questo ricorda un'enciclopedia dell'arte fatta a dispense. Soprattutto i numeri di Antonello da Messina. E allora è tutto un cataclisma interiore con al culmine San Girolamo, primo traduttore di tutta la Toràh, mentre con l'occhio già pensa allo spino che dovrà togliere - eh, sennò fa infezione! - dalla zampa del leone. E c'è pure un pavone con 1000 occhi sulla coda alla base di quel posto così concreto che mille prospettive fanno veramente assurdo.
Ma, o Sa', non è forse così la realtà, la vita quando ci sei così immerso che i riflessi ti accecano? Tu non sei l'automobilista che passa per Via Masolino da Panicale e per lui è solo un attimo, un flash da buttare, un miraggio quando non si ha sete - e tu la sete ce l'hai, eccome: quanto beviamo insieme il liquidodel frutto caro a tante diversità del Sacro! - tu che hai provato e senti sempre dentro l'arsura dell'Africa, il centro dell'Africa, Centroafrica, così fertile, così madre di noi tutti che dovremmo essere davvero Sapiens Sapiens e sentire con tutto il sapore, come quando si lisciano i felini - ed è bello, si dovrebbero leccare le tue tavole dove la nostra animalità, l'anima vera si perde negli occhi delle tue fiere così belle.
Perché, Arcangioli, la bellezza dovrebbe apparire come un fantasma nella savana dei giorni? Perché mi sono perso nella sterpaglia? Perchè dovrei temere che la bellezza appaia all'improvviso e mi divori, mi trascini nel suo gorgo come quel tuo quadro appena all'ingresso sulla destra del nostro centro culturale? Già, perché? Ma io mi lascio dilaniare con piacere dalle tue metamorfosi! Tu, o donna o chi sei, che emergi dall'oro di Simone Martini, hai la forza di Artemisia, il desiderio di Egon Schiele, tu gatta, tu notte, tu artiglio che ha la stessa radice di arte, fammi a pezzi, io sono pronto, straziami!

Semaforo che porta a Viale Belforte, rosso, il sangue del leone di Nemea ucciso da Eracle, Ercole, bello e forte: tu e il tuo gregge ora mansueto non andrete certo là, ma devierete (l'arte é anche devianza, lo sappiamo bene) verso Via Arconati, perché -lo dice Holderlin - siamo nati per tenderci allo spasimo come un arco, attenti solo a non spezzarci troppo presto per scagliare le nostre idee-colori come un arcobaleno - e da lì in Via Dandolo, la chiesa Immacolata del viale degli innamorati, anche di quelli laici come noi, che tutto possiamo dirci fuorché immacolati poiché serenamenteinquietamente imbrattati di colori, tutti - e io in Via Dandolo convivevo con passione - fino a quel tribunale, che non ti giudicherà, non ci giudicherà in quanto puri nella nostra follia - l'arte è nemica del male, non è vero, fratello mio? - e quindi al Cavedio, nella via dei cavalli di fatica fatti repubblicani veri, Via Cavallotti, cittadini di una Rivoluzione che ha bisogno di saggi, di artisti che cerchino sempre oltre l'orizzonte il disegno di occhi ridenti e fuggitivi.

Così sia, amico mio.
E ci sono parole di quattrosecoli fa - ma è oggi! - a te dedicate dalla dolce Francia.
Jean Desponde:
"Quei leoni ruggenti senza rabbia li vidi:


O uomo, vivi, vivi! Eppure morir si deve".




MACCHINE DA CUCIRE due punti SCRIVERE
La Collezione Gessi
(2007)


Vedo sempre davanti a me tipi curiosi e originali.
Sono sempre stato affascinato dalla  varietà delle individualità umane...
E' questa diversità che mi interessa.

ISAAC B. SINGER (PREMIO NOBEL 1978)




Quell'enorme contenitore di plastica verde scuro io lo ricordo da sempre, grande quanto due scatole di pandoro cucite una all'altra.
Se ne stava lì, dietro il tendone del ripostiglio, dove a Natale si montava il presepe, potevi sedertici sopra e restare comodamente nascosto fin quando la nonna o la mamma non lo avrebbero sollevato per trasportarlo solennemente in cucina come l'arca della santa alleanza. Gli stessi gesti e movimenti che in seguito avrei avuto l'incarico di fare io, il figlio, il nipote maggiore: il gran sacerdote dello strappo e della toppa che alza quella specie di paracarro sul tavolo, solleva altre quattro chiusure, il coperchio...
Ecco, ora la macchina da cucire celeste e acciaio sembra un ponte su un fiume di stoffa: un rocchetto di filo l'ha appena attraversato.
La pedaliera a prima vista pare un corpo estraneo, ma non è così, anzi, ricorda una flebo che dà energia dal basso verso l'alto, vicino alla sedia, nel letto del fiume.

Una musica che è sempre un crescendo, poi d'improvviso, umilmente, si blocca. Quante volte sei stato trafitto? Non riesci a tenere il conto. Ma neanche San Sebastiano è stato infilzato da tante frecce! Mi tornano in mente tutti i punti di sutura di Vito Antuofermo, pugile, quando riuscì a pareggiare il mondiale con Marvin Hagler.
Immaginarsi l'indice che finisce lì sotto, l'ago che non si ferma come per una vaccinazione. Per questo io lo avvicino e lo batto se immobile con un ditale che sembra d'oro ma non lo è. Perché è normale, è una magia quotidiana la macchina da cucire, il punto qui ha una dimensione precisa, come il piano, che è un tavolo, l'energia che passa per il filo della corrente, la spina e la presa - e anche lì non devi mettere il dito.
E' dura da sfasciare la "Weiber", ha superato indenne la seconda guerra mondiale, non è la radio né tantomeno l'orologio, ti devi fidare della mamma, delle istruzioni. Così l'abito e la vita sociale li conquisterai in un minore lasso di tempo (anche se Penelope ha i minuti contati, i Proci suoneranno al citofono).

Ancora oggi quando vado a trovare mia madre, sono io che porto in tavola questa specie di reliquiario. Si tratta di un culto domestico i cui santi hanno nome e cognome: Bartolomeo Thimonnier (quando si dice il cognome), Gualtiero Hunt, Elia Howe, Isacco Singer (che nomi! che nomi!). 
Dalla lettera di Bartolomeo Thimonnier al giornale di Villefranche, 1845: "Al di sopra della questione industriale vi è una questione sociale che deve essere risolta prima che possa essere permesso a un qualunque inventore di carpire il misero guadagno delle operaie... Invece di prescrivere le innovazioni destinate ad accrescere il benessere di tutti, invochiamo a gran voce la riforma nell'educazione della donna!".
Purtroppo non sarebbero mancati - e non mancano - le martiri ( e i martiri) anche alla macchina da cucire, ma Thimonnier faceva spola tra ottimismo della ragione e cuore del problema: quindici ore di lavoro al giorno per una miseria e magari anche una morte non lenta, come per la ragazza che aveva cucito a mano giorni e notti di fila per una festa imperdibile a Buckingham Palace o giù di lì.

"Cucire, cucire, cucire,
Da un'ora grigia all'altra;
Cucire, cucire, cucire,
Come il prigioniero lavora
Per scontare i suoi delitti!"
cantava il poeta inglese Thomas Hood -e dopo 150 anni è ancora purtoppo in hit parade da troppe parti -
"O uomini, che avete sorelle amate,
O uomini, che avete madri e mogli,
Non è più una tela che vestite
Portando una camicia, ma un brandello
Di vita di creature umane!".

E perdipiù se inventavi una macchina, toglievi anche lavoro, anche quello. E allora anche l'inventore e/o l'imprenditore rischiava il lastrico, vedi Hunt, vedi Howe, o ci finiva davvero sulla strada, come Thimonnier, a far danzare le marionette per raccattare qualcosa (e i passanti con le bocche cucite).
Finché un altro artista, un altro tecnico (perché in greco arte si dice così "téchne"), mezzo tedesco mezzo americano, via di casa a 12 anni perché si chiamava Isacco, tornitore, attore, cantante, il cui cognome iniziava per "S" come Shakespeare, a. d. 1850, non inventò una macchina, forse la macchina da cucire per eccellenza, che ancora scolpisce le sue lettere come un pentagramma su quanto ci portiamo adosso. Isacco Singer, non a caso oltre che ingegno fertile amante di donne - se fai questo mestiere come fai a non amarle? - più volte marito e padre, come i patriarchi, di 24 figli, ognuno col suo bel ricamo.

E forse quei bambini giocavano, come ancora io ho fatto in tempo, con i rocchetti. Potevi trasformarli in carro, carretto, carrarmato - paracarri, torri, microfoni. Cantarci, volendo - magari con l'accompagnamento degli strumenti musicali che più di 100 anni fa assemblava la "Pfaff", il valzer "belle époque" dello Zigo-Zago:
"Vieni in barchetta,mia bella, a vogar,
Canteremo lieti sopra il lago
La canzone antica dello Zigo-Zago.
Tu m'hai rotto l'ago,m'hai ferito il cuore,
Mi farai morir!".
Ma il mio "Zigo-Zago" era già quello di Daniela Goggi.

E così, nato a Tradate e cresciuto nelle Marche a Porto Sant'Elpidio, terrasanta dei calzaturifici, faccio ritorno a Tradate, al "Museo Frera" per "Storie da ricucire": il filo non si è spezzato.
Il racconto iniziato da Antonio Gessi è una bella fiaba dai piedi ben piantati per terra, che parla di donne e di uomini -perché in fabbrica, alla "Martegani" di Tradate, c'erano anche loro, soprattutto loro, e lui fra questi - di uomini e donne di manica larga che hanno vestito, vestono i nostri anima&corpo di un piacere concreto.

Così ora anche l'occhio è più libero di spaziare, per esempio, dai famosi aghi di Aquisgrana, disposti come su tavolo da gioco, fino alla corte di Carlo Magno, patrono d'Europa.
E fantasia e stupore viaggiano comodi in un catalogo della "Bassano Grassi" del 1915 dove non c'è guerra ma italiani, tedeschi e americani che fanno a gara nel forgiare in acciaio piccoli gioielli democratici, riprodotti in disegni bianco&nero tanto precisi nella geometria quanto nel dar vita a metamorfosi liquide.
Navette "Titania", "Hansa", "Rhenania", vibranti, reciproche, con incavo o senza, che si trasformano in girini, torpedini e capodogli. Viti e molle, ognuna con la sua tensione, pronte a mutarsi in meduse, in piante subacquee. A pagina 52 un anello a denti con un piccolo ingranaggio dentato al centro sembra proprio una cellula.

Poi tutto torna alla "piastra fondamentale" rettangolare, al "braccio nudo" della macchina, al "mobile contienitutto" dov'è Alma, consorte di Mahler, a guidare finalmente l'orchestra.
Un valzer per ago e filo conduttore. Nel comune sogno di una seconda pelle.




IO E LUCIO FONTANA

(2011)







ALMANACCO PANNINI (Pannini Mitelli Vivaldi)

(2011)





BALLPOINT Nomadic architecture of my life




Tradate 1/31966 Il cielo è una limpida sfera: al centro, il disco della terra, piatto come un piano euclideo, come un 45 giri dello “Zecchino d’oro”. E io sono il perno di questo stereo universale, sono un piccolo bambino nato in ospedale. All’epoca del grande Augusto c’era la grotta al freddo e al gelo, ma io, grazie a dio, sono figlio del Servizio Sanitario Nazionale.

 Pogliana, frazione di Bisuschio 9/6/69 Un palloncino mi è scappato di mano, ormai è su su che lo afferra una cicogna fra le ali reggendo un cavolfiore che il prete scaglierà a due mani sulla grande zuffa polverosa di vocine e piedini che scalceranno di tutto nella rete di San Carlo, rione di Varese.   Fermo1/7/71 Scoperta dell’”Idrolitina”.   Porto Sant’Elpidio 6/7/76 Solfeggio, piccole sfere prigioniere di un pentagramma: non imparo a suonare il violino. Culi a mandolino dei primi giornali pornografici.   Induno Olona 7/7/77 Due palle: il cerchio, la sfera e il libro di Geometria per 3,14 anni di Medie, inferiori + un pallone scagliato da Tampa Scarparo forse fino all’orbita geostazionaria, sopra l’oratorio.   Varese 3/8/83 Scuole superiori: mi regalano una stilo, ma preferisco la biro. “Somnium Scipionis”: le orbite del cielo sarebbero sfere che risuonano come i piccoli globi di metallo cinese per rilassare le mani. Ma questo è latino e Cicerone finisce decapitato.   Milano 8/8/88 Alla Statale Carlo Sini mi spiega Parmenide l’anno dopo lo scudetto del Napoli: Maradona palleggia la testa di una statua greca. L’Essere è una sfera perfetta che Platone e Aristotele fanno rotolare in cielo come una palla da biliardo o una di quelle abatjour multicolori da quattro euro, tanto adorate dal mio cane.   Monreale 8/9/98 E il globo terracqueo del Pantocratore dove lo metti? Nel medioevo mica credevano la terra piatta: l’Ulisse di Dante varca le Colonne d’Ercole e fa naufragio davanti a Rio de Janeiro, al Pan di Zucchero.    Albissola Marina-Aosta 20/08/2008 Servizio “Saline di Chaux” per il sale sopra i pomi d’oro delle guardie di Ledoux. Vendo piatti di ceramica d’autore per una nuova Tavola Rotonda popolare dal mare alla  montagna sempre in volo, reale e virtuale: IO sono un’opera d’arte multimediale interattiva.

Varese 0/1/10 Sfera dopo sfera riplanerò a Varese con lo stormo di macchine in uscita dall’Autolaghi, dentro una bolla di Google Earth. Quando anche l’ultima sarà esplosa Mario Botta mi trapianterà il cuore con il “Cenotafio di Newton” di Boullée perché ti cerchi sulla terra anche dalle stelle, mia città. Fine.




PINA TRAINI Chiaroscurità '60-'70 (2012)




PINA TRAINI Solo donne - Partitura incompiuta (2011)




PINA TRAINI Solo donne - Sogno Sonno Risvegli (2011)



Opere interamente dedicate alle donne, come da sempre.
Le tele scultoree della pittrice come rivelazione di nuovi rapporti cromatici, armonici.
La posizione della donna, la sua solitudine, la sua forza e valore, ma anche la sofferenza del vivere e la ricerca di una reale emancipazione.

Metafore del suono, queste visioni femminili, dove lo spazio è preso totalmente dalla figura in un gesto immortalato per la sua semplice eleganza.